Ferrara, 6 marzo 2010. OMISSIONE d’atti d’ufficio. Favoreggiamento. Presunti depistaggi. Il volto di Federico Aldrovandi — 18 anni spezzati il 25 settembre 2005 in un parchetto di Ferrara dopo un intervento di polizia — torna a riaffiorare in tribunale e, dopo le condanne a tre anni e sei mesi ai quattro agenti che lo portarono alla morte, ieri è stata la volta di altri quattro poliziotti.

Il giudice dell’udienza preliminare Monica Bighetti ne ha condannati tre e rinviato a giudizio un quarto. La decisione sui depistaggi, che conferma l’ipotesi accusatoria dell’intralcio alle indagini fin dal primo momento, è giunta ieri sera, dopo oltre tre ore di camera di consiglio, a conclusione dell’udienza preliminare.

IERI Paolo Marino, dirigente dell’Upg della Questura di Ferrara all’epoca, è stato condannato a un anno di reclusione (per lui il pubblico ministero Nicola Proto aveva chiesto un anno e quattro mesi) per omissione di atti d’ufficio, per aver fornito un’informazione non precisa e indotto in errore il pm di turno Mariaemanuela Guerra, non facendola intervenire sul posto.

Dieci mesi poi a Marcello Bulgarelli, responsabile quella mattina della centrale operativa (l’accusa aveva chiesto due anni e sei mesi), per omissione e favoreggiamento (caduta la falsa testimonianza per una questione tecnica); otto mesi inoltre a Marco Pirani (chiesto un anno e mezzo), ispettore di polizia giudiziaria, collaboratore del primo pm dell’inchiesta che poi lasciò per incompatibilità, accusato di non aver trasmesso, se non dopo diversi mesi, il verbale delle telefonate tra polizia e carabinieri. Per il quarto poliziotto, Luca Casoni, unico a non scegliere il rito abbreviato, il giudice ha fissato il processo per il 21 aprile. E’ coinvolto per una telefonata con Bulgarelli che, quando apprese da lui che il ragazzo era morto, chiese «in che modo» e Casoni gli disse di interrompere la registrazione («Stacca»).

SU QUESTO «Stacca» le difese si sono aggrappate con forza e disperazione. Uno dei legali dei poliziotti, avvocato Dario Bolognesi, ha sottolineato come «in tre perizie sia emerso che Casoni non ha mai detto ‘Stacca’» ma evidentemente il ragionamento del gup è stato diverso. Le condanne, pesanti perché sottolineano come una catena di ritardi, omissioni e mancate trasmissioni di atti non siano state un mero pasticcio burocratico senza rilevanza penale ma reati provati, sono comunque state più miti di quanto chiesto dalla pubblica accusa.

Le motivazioni saranno depositate entro trenta giorni, sarà sicuramente proposto appello. «Ma per noi — spiega Patrizio Moretti, la mamma di Federico Aldrovandi — è una grandissima vittoria che cancella il senso di impunità per quei signori che ha caretterizzato questi anni». In lacrime il padre Lino, mentre il legale di parte civile Fabio Anselmo è deciso: «Queste sentenze sono un segnale importante a coloro che si presteranno, in situazioni analoghe a questa, a sostenere in questa maniera i colleghi anziché a perseguire la strada della giustizia».