Ferrara, 30 agosto 2011 - FEDERICO ALDROVANDI doveva essere aiutato, con un «approccio di tipo psichiatrico-sanitario», invece i poliziotti misero in atto una «manovra di arresto, contenimento e immobilizzazione con estrema violenza e con modalità scorrette e lesive, quasi volessero ‘punire’ Aldrovandi». Sono parole pesanti come pietre quelle contenute nelle motivazioni della sentenza d’appello che, lo scorso 10 giugno, ha confermato le condanne a 3 anni e 6 mesi inflitte in primo grado ai quattro poliziotti accusati di eccesso colposo in omicidio colposo. Enzo Pontani e Luca Pollastri, componenti della pattuglia Alfa 3, la prima volante intervenuta, e Paolo Forlani e Monica Segatto, sull’Alfa 2, incontrarono Federico, 18 anni, all’alba del 25 settembre 2005 in via Ippodromo e poco dopo il giovane morì in seguito a una violenta colluttazione con i poliziotti. Peggio: di una «vendetta».
 

NEI GIORNI scorsi le motivazioni sono state depositate in Corte d’appello, a Bologna, e nelle 233 pagine i giudici (presidente Daniela Magagnoli, estensore Luca Ghedini) tratteggiano un operato dei poliziotti fuori di ogni regola del regolamento. «Aldrovandi... viene aggredito e percosso con i manganelli e atterrato — scrivono i giudici —, schiena a terra, dove si è continuato a percuoterlo, con i manganelli e a calci; la Segatto lo percuoteva sulle gambe; Pontani e Forlani lo schiacciavano a terra e Pollastri lo continuava a percuotere. Va posto in evidenza come, tra l’altro, ‘l’attacco’ di Aldrovandi sia stato goffo e inoffensivo; il calcio saltato da karateka, infatti, è stato sferrato a distanza e a vuoto. Immediata è stata, invece, l’aggressione dei quattro a manganellate». Ecco il punto: «Ognuno di loro, infatti, ha ‘ingaggiato’ senza reale necessità che non fosse quella di vendicare l’affronto subito poco prima da Pontani e Pollastri, la seconda colluttazione; ognuno di loro, infatti, ha percosso Aldrovandi, anche dopo che era stato atterrato; ognuno di loro, infatti, non ha richiesto l’invio di personale medico prima e invece di ‘bastonare di brutto per mezz’ora’ Aldrovandi, ma soltanto dopo averne vinto con violenza la resistenza».
 

Ferrara, 30 agosto 2011 - FEDERICO era in uno stato di «alterazione», per i giudici. In quest’unico punto la sentenza d’appello diverge da quella di primo grado. Per la Corte il diciottenne, con «alta probabilità», aveva assunto, «oltre ad alcol, eroina e ketamina, seppur in modeste quantià, anche popper ed Lsd». Ciò non cambia la sostanza dei fatti: i poliziotti, tutti esperti, avrebbero dovuto intervenire in modo ben diverso, avrebbero dovuto «riconoscere» lo stato del giovane e dunque la loro «gratuita violenza» appare ancora più grave.
I giudici poi sottolineano che resterà senza risposta una domanda: cosa ci faceva l’Alfa 3 a fari spenti quella notte in una strada a fondo chiuso? La Corte inoltre stigmatizza il fatto che, fin da subito, i responsabili della Questura tentarono di «falsificare e distorcere i dati probatori». Per questo agli imputati, che si sono ben guardati dallo «squarciare il velo della cortina di manipolazioni», non vengono concesse le attenuanti. Infine, la causa di morte: i giudici d’appello accolgono la tesi del perito Gaetano Thiene, cioè che il cuore cedette per «una compressione violenta» durante il pestaggio. Infondata, invece, la teoria delle difese di «sindrome improvvisa» causata da droga e alcol.