Ferrara, 26 ottobre 2013 - «STO MORENDO. Sono finito. Non ne posso più». Don Pietro Tosi, ex parroco di Cornacervina, l’uomo che ha stuprato una ragazza di 14 anni, madre di Erik Zattoni, è ormai un anziano «distrutto». La voce flebile, il pianto. Ieri ha voluto parlare, per sfogarsi. E ha deciso di farlo con il Resto del Carlino, dopo che la settimana scorsa siamo andati da lui, senza però poterlo incontrare. Ma la tempesta mediatica che gli si è abbattuta addosso lo ha piegato. «Non mi merito tutto questo — ha sottolineato —: ho dedicato la mia intera vita a Cornacervina, ho fatto tutto per gli altri, il mio stipendio infatti è sempre stato molto ridotto. Ho aiutato giovani, anziani, famiglie, poveri, insomma la mia gente. Non c’era niente a Cornacervina. Io ho costruito tutto, ho fatto edificare le case». Ci sono tante persone che tentano di chiamarlo, come lui stesso spiega dalla sua dimora, nella casa di riposo di Cesta; in tanti si recano per vederlo, per accusarlo. «Non ce la faccio più — ripete il prete, padre di Erik —. Verso quella famiglia ho la coscienza a posto: ho fatto tutto quello che era possibile. Ora non so cosa fare. Chiedo a Dio di morire». Il sacerdote non vuole approfondire l’episodio dello stupro: «Parlate con i miei avvocati», dice.

I SUOI AVVOCATI sono molto conosciuti in città: «Si chiamano Ascanelli e Tagliani», dice. Tiziano Tagliani, il sindaco. Piange don Pietro, come un anziano solo in una casa di riposo. Solo e nello stesso tempo in compagnia dei suoi fantasmi: «Mio fratello è già andato in cielo, il suo pensiero mi distrugge. Poi se penso a mia sorella mi sento morire». Non cita mai Erik, né lo stupro. Cerca di indirizzare il discorso su tutte le cose belle che ha fatto in paese. Anche la gente del posto, sconvolta per le rivelazioni sul loro ex parroco, ha confermato: «Ha fatto tanto per Cornacervina, non ce lo saremmo mai aspettati». E la macchia di quell’azione mostruosa si allarga a dismisura, lambisce ogni cosa. «Dopo che ho saputo che mia sorella era incinta — ha detto Enzo Zattoni, zio di Erik — don Pietro mi ha detto che avrebbe potuto essere il campanaro il colpevole, ha accusato innocenti».

QUEL SETTEMBRE del 1980 il parroco allora 54enne ha convinto una ragazza di 14 anni ad entrare in casa. E lì ha abusato di lei. Quattro anni più tardi, il fratello della ragazza è piombato in casa accusando il prete, cercando di mettergli le mani addosso. Per anni è stato proprio il fratello ad essere indicato dalla gente come colpevole. Chi sapeva ha taciuto. Il vescovo Negri è arrivato in diocesi molto di recente: «Con lui non ho mai parlato — spiega ancora don Pietro —. L’ho incontrato solo una volta quando è venuto a trovarmi. È Rabitti che mi conosce bene, sa chi sono e conosce la mia situazione dall’inizio alla fine. Rabitti è sempre stato al corrente di tutto».

A detta di molti, come gli organizzatori del flashmob di protesta in piazza (mercoledì 16 ottobre) o come il responsabile della Rete nazionale L’abuso, Francesco Zanardi, l’unico che può sistemare le cose è Papa Francesco. Per lui l’associazione di Zanardi ha raccolto una petizione con oltre diecimila firme, e per lui è stata scritta una lettera per chiedere un intervento del Vaticano. Per fare giustizia. Per ridurre allo stato laicale don Pietro Tosi, un’anziano ultraottantenne, solo in una casa di riposo, che fino ad una settimana fa aveva la stima di tutti. Ma non c’è niente di nascosto che non sarà rivelato, recita l’evangelista Luca. E oggi molta di quella stima si è trasformata in odio. «Racconterò tutta la mia vita — promette don Pietro —. Lo farò attraverso un libro, le mie memorie, ma io certe cose non le ricordo bene. I miei avvocati e mia sorella mi stanno aiutando».

POI TORNANO a farsi spazio le lacrime, pensando alla sorella. «Se tornassi indietro? Farei ancora il sacerdote. E stato sempre il mio sogno, fin da bambino. Quando ero già prete ho passato quattro anni a Roma con il cardinal Martini e anche con Ratzinger. Conoscevo Aldo Moro e Enrico Berlinguer. Ero ospite nella casa dove si tenevano i corsi di aggiornamento per sacerdoti». Tutti questi aneddoti finiranno nel libro della sua vita. Anche quella volta in cui, proprio lui, sempre a Roma, tenne una lezione sul maschilismo». Ora don Pietro aspetta la morte: «Spero solo che il Signore mi chiami presto. Dico solo questo: Dio mi ha amato tanto. Io ho sbagliato nella mia vita, tutti sbagliano. Ma ora sono finito».

Daniele Modica