Ferrara, 15 maggio 2014 - «IL MIO bimbo è morto, non potrò venire a lavorare». Poche parole, scritte in un sms, che spiazzerebbero anche il più crudele dei datori di lavoro. «Signora, non si preoccupi — la risposta quasi imbarazzata — Si prenda tutto il tempo necessario». Ma la realtà, fortunatamente, era tutta un’altra. Il bambino, 7 anni, era (ed è) vivo e vegeto. Quel terribile messaggio, invece, una squallida scusa per saltare il lavoro e per nascondere una serie di illeciti commessi ai danni della sua (ex) azienda. Una storia pazzesca, finita ieri con la condanna di una 50enne della città a 8 mesi e 400 euro di multa per i reati di appropriazione indebita aggravata (dal rapporto di lavoro), truffa e recidiva semplice.

SI PARTE a febbraio 2011 quando la signora (che non citeremo per non identificare il minorenne) ottiene un contratto a tempo determinato da un’azienda che si occupa di sistemi di allarme. Il suo compito quello di procacciare clienti. L’inizio è positivo, i primi contratti, grazie al suo apporto, vengono firmati regolarmente. Poi qualcosa si rompe. Arriviamo a maggio di quello stesso anno. La ferrarese deve recuperare 4500 euro da due clienti. «Ci penso domani — dirà ai suoi superiori —, non preoccupatevi». Quella però sarà l’ultima volta che si farà vedere. Il giorno seguente, infatti, non si presenta e, alla chiamata del responsabile tecnico, risponde così: «Scusate, mio figlio è caduto ieri sera in piscina. Ha battuto la testa e ora è ricoverato in gravi condizioni a Bologna». Gelo dall’altra parte della cornetta. Il giorno dopo ancora è lei a farsi sentire tramite un terribile sms. «Mio figlio, purtroppo, non ce l’ha fatta. E’ morto durante la notte, ora dovrò pensare ai funerali». L’azienda non può far altro che rammaricarsi, esprimere condoglianze e ribadire alla dipendente di prendersi tutto il tempo necessario. Nuovo messaggio la settimana successiva: «Abbiamo fatto il funerale. Non vedo l’ora di tornare al lavoro per lasciarmi questa tragedia alle spalle».

POI il nulla. Sarà l’avvocato dell’azienda, Luca Morasutto, a tentare un contatto con la donna e già dalle prime verifiche qualcosa comincia a scricchiolare. Possibile che i giornali non avessero mai parlato di una vicenda simile accaduta in piscina davanti a tutti? La ricerca anagrafica farà il resto: nessun bambino risulta morto. La donna si è inventata tutto, pure l’incidente in piscina. Motivo? Intascarsi i 4500 euro. Ma c’è di più. Con un escamotage, era riuscita a falsificare firma e codice fiscale di una signora appena conosciuta, per ottenere un sistema di videosorveglianza gratis. Inevitabile la querela sfociata ieri in una sentenza di patteggiamento a 8 mesi e 400 euro di multa con sospensione della pena subordinata al risarcimento del danno all’azienda (6mila euro). «Ciò che stupisce — il commento dell’avvocato Morasutto — è la freddezza e il cinismo usati in quel messaggio nei confronti del figlio».

Nicola Bianchi