Killer di Budrio, le foto su WhatsApp. "Soggetto pericoloso"

Gli scatti del killer in chat. Ricerche, gli agenti della Polizia provinciale erano stati avvisati. Caccia a Igor, scoperto un altro giaciglio

I carabinieri impegnati nelle ricerche (foto Businesspress)

I carabinieri impegnati nelle ricerche (foto Businesspress)

Ferrara, 27 aprile 2017 - Quattro aprile, piena mattinata. Sul gruppo whatsapp Pol. Prov. arriva un messaggio: «Pensando di fare una cosa utile... Questa è la foto senza censura del russo ricercato per l’omicidio di Budrio». Lo scritto è corredato dall’immagine segnaletica di Norbert Feher, in quel momento conosciuto da tutti come Igor Vaclavic, ripreso di fronte e di profilo. Un velo di barba, sguardo cattivo, una t-shirt verde che gli spunta da sotto il maglione. La sua foto segnaletica gira da un paio di giorni tra le auto delle forze dell’ordine dove si parla di «soggetto estremamente pericoloso e se minacciato non esita ad usare armi da fuoco in suo possesso».

A dare l’allarme quel martedì mattina via telefonino, è Marco Ravaglia, il 53enne agente della Provinciale che l’8 aprile, ovvero quattro giorni dopo il suo sms, rimarrà ferito gravemente proprio da Feher, con l’amico Valerio Verri, guardia ambientale volontaria, uccisa sotto i suoi occhi. «Se lo si vede – è la pronta risposta di un collega che arriva qualche istante più tardi nella stessa chat della Polizia Provinciale – chiamare carabinieri e stare lontano». Troppo tardi. Tardi per Verri, ammazzato sul colpo da un unico proiettile alle 19 dell’8. Tardi per Ravaglia, oggi vivo per miracolo.

Domande. Prima di quel maledetto pomeriggio di sangue, ci sono due fatti che portano la firma di Feher: il 30 marzo a Consandolo, dove un vigilante viene rapinato a colpi di fucile, e soprattutto l’1 aprile, quando il killer uccide nel bar di Riccardina di Budrio Davide Fabbri. Da quel momento Norbert il serbo, o Igor il russo come lo si voglia chiamare, scorrazza tra le campagne Bolognesi e Ferraresi, per poi uscire allo scoperto nel Mezzano e mietere altre vittime. Ma solo l’indomani arriva lo stop a tutti i pattugliamenti della Provinciale in ogni zona boschiva, dei volontari e dei coadiutori. «Mi domando perché solo allora – dice Francesca Verri, figlia della vittima – e non immediatamente dopo l’omicidio di Budrio. Mio padre e Marco non dovevano trovarsi in quel luogo, la zona doveva essere interdetta prima. Punto. Doveva essere chiusa e non dopo l’8 aprile».

La chat. La guardia volontaria, precisa la figlia, non faceva parte di quella chat di whatsapp, riservata agli uomini della Provinciale. «Una chat interna, ma essendo sempre a stretto contatto con Marco anche papà era a conoscenza di ciò che si scriveva». Il posizionamento delle pattuglie, i turni, i servizi e i pericoli. «Anche in quella chat – dice la donna – era stato dato l’allarme del killer. Anche noi cittadini comuni sapevamo chi fosse quella persona. Ora – chiosa – mi aspetto che la Procura apra un’indagine sul mancato allarme, partendo da quella chat». Non punta il dito contro nessuno, Francesca. Non ha voglia, non ha la forza. Ma pretende risposte. Quello sì. Risposte precise su ciò che è accaduto. «Faccio domande tutti i giorni, – sussurra – ma di risposte ne ho avute ben poche. Lo devo a mio padre perché con lui ho perso tutto. Abbiamo perso il nostro punto di riferimento. Noi, cittadini normali, catapultati in un film dell’orrore dove ci siamo trovati ad essere protagonisti senza volerlo». Chiarezza, punto. Lo pretende la madre, così il fratello Emanuele. «Marco Ravaglia – chiude lei – in quella chat lancia l’allarme il 4 aprile. La morte di papà si poteva, si doveva evitare».