«Nessun dolo intenzionale a terzi. E il dissesto non fu dovuto alle Apc»

Le motivazioni della sentenza su Coop Costruttori: «Crac dovuto a una serie di concause»

Giovanni Donigaglia (Businesspress)

Giovanni Donigaglia (Businesspress)

Ferrara, 9 novembre 2016 - AD AGGRAVARE il dissesto della Coopcostruttori sarebbe stata la «prosecuzione dell’attività e non l’emissione di Apc». Eccolo uno dei passaggi chiave della sentenza della Cassazione sul crac dell’ex colosso edile. Un malloppo di 106 pagine in punta di diritto pronto a spiegare il perché della decisione, arrivata il 30 giugno, di rimandare i lavori ad un nuovo processo in Appello. Il dato più eclatante riguarda l’annullamento della sentenza impugnata, relativa ai capi B, C e D della Coop. Ovvero: bancarotta da falso in bilancio, operazioni dolose per le emissioni delle Azioni di partecipazione cooperativa, ricorso abusivo al credito per le fatture false. In questo tornano in gioco i sindaci (Angelini e Baldini) ma soprattutto i revisori, assolti nel secondo giudizio: Colletti (Reconta), Bragaglia (Uniaudit) e Cerioli (Ria). Con loro, i tre procuratori speciali (assolti a Bologna): Negretto, Mazzoni e Venturi.

NESSUN INGANNO. I giudici della quinta sezione penale muovono diverse critiche alla sentenza d’appello, definita a tratti «carente», «lacunosa ed insufficiente», «irrisolta in una serie di problemi valutativi». «La Corte – scrivono – non ha chiarito in che termini vi sia stato un effettivo ostacolo informativo sull’entità della crisi, posto che le relazioni integrative dei bilanci, redatte dai revisori, stavano a scandirne gli specifici settori e i numeri delle poste critiche che aumentavano di anno in anno». Poi l’affondo: «Se davvero le banche erano così pregiudizialmente favorevoli a fare credito alla società, se i soci consapevoli della crisi Coop, se i committenti - tardivi pagatori - erano causa e non vittime e se davvero i bilanci segnalavano, con le relazioni dei revisori, che le voci di cui alle imputazioni erano critiche, siamo in presenza di una situazione in cui non si ravvisa alcun serio segnale del dolo intenzionale di inganno a terzi». Era il periodo di Mani pulite, «la quale aveva creato importanti mutamenti nel settore degli appalti pubblici», quello che Donigaglia e compagni definivano il ‘vivere nella crisi’, «che nella visione dei vertici significava salvaguardare innanzitutto ad ogni costo il lavoro dei soci». Un periodo però che, «in maniera graduale e complesso», stava portando via via allo sgretolamento della cooperativa per una «pluralità di fattori». E anche qui, secondo la Cassazione, la Corte d’appello avrebbe dovuto «chiarire le molteplici concause che hanno interagito».

APC. Lungo e complesso il passaggio sulle Apc. Mentre per il tribunale di Ferrara l’emissione, «da intendersi come capitale di rischio, non aveva cagionato o aggravato il dissesto», la Corte di Bologna «ha ritenuto che l’operazione, consentendo il reperimento di nuove risorse e la prosecuzione dell’attività, avrebbe contribuito a provocare il crac». Apc che per la Cassazione sono «evidente capitale di rischio, rappresentativo della partecipazione di terzi al progetto imprenditoriale, soggetto al rischio di impresa, diretto ad incrementare la capacità e la solidità finanziaria delle coop». Sentenza, dunque, annullata «con rinvio per nuovo esame in relazione ai profili del nesso causale e dell’elemento soggettivo».

SPAL. «Destituiti di fondamento – chiosano i giudici – i motivi con i quali gli imputati hanno denunziato illogicità della motivazione nella parte in cui ritiene dissipativo il finanziamento Spal, il cui acquisto era stato considerato lecito». La condanna per bancarotta dissipativa per i 38 milioni alla Spal è definitiva.

Nicola Bianchi