Ferrara, il luna park delle discariche. Degrado dove morì Tartari

Cumuli di rifiuti abbandonati tra le vie Pelosa e Vecchio Reno

Una delle discariche in zona Chiesuol del Fosso

Una delle discariche in zona Chiesuol del Fosso

Ferrara, 1 ottobre 2017 - Il tempo, in via Vecchio Reno, sembra essersi fermato. Balzata agli onori della cronaca esattamente due anni fa per il triste epilogo delle ricerche di Pier Luigi Tartari, la lingua di strada sterrata che taglia in due la campagna di Chiesuol del Fosso è ora solamente teatro di degrado. In poco meno di cento metri sono racchiuse due delle cartoline più brutte che Ferrara possa regalare: il tugurio in cui trovò la morte il pensionato di Aguscello e un cantiere mai finito, ora adibito a discarica abusiva.

Ed è proprio lì, all’incrocio tra via Vecchio Reno e via Pelosa, che avviene lo scontro tra la natura e l’uomo: da un lato l’erba che, dopo anni di inattività, si sta letteralmente rimangiando quanto eretto da ingegneri e operai, dall’altro l’azione dell’uomo che – non contento di aver costruito una sorta di cattedrale nel deserto – prova anche ad inquinare il territorio circostante. Davanti al cancello chiuso del cantiere (ma per entrarvi basta solo spostarsi di alcuni metri, dato che parte della recinzione è divelta) c’è un piccolo spiazzo. Ammassati, davanti all’ingresso in cui campeggia il cartello ‘Alt’, decine di oggetti.

Una vera e propria discarica a cielo aperto. E dire che c’è di tutto è riduttivo: cestini della frutta, pneumatici, divani, sedie, mobili, televisori, vestiti, tubi, una rete da materasso, custodie di cd, giochi della Play Station e persino un albero di Natale in plastica. Ma, soprattutto, decine di confezioni di olio da motore. Sono ovunque, di colore blu, sporche ed unte. A pochi passi dal cancello c’è anche un’enorme cassa, simile a quelle utilizzate dai maghi per i loro giochi di prestigio: ma dentro non c’è alcun coniglio, ne tanto meno qualche mazzo di carte. Dentro, ordinate, ci sono altre confezioni di olio da motore. Al di là della recinzione, come detto, c’è quella cattedrale nel deserto.

Cinque palazzine avvolte in impalcature arrugginite e guardate a vista da un’enorme gru (posta al centro dell’area) che da anni lascia penzolare nel vuoto una piccola betoniera. Poi, poco più in là, oltre il ponte che scavalca l’autostrada, c’è ancora il tugurio di Tartari. Anch’esso abbandonato e avvolto in una vegetazione fittissima, tanto che è quasi impossibile da scorgere percorrendo lo stradello sterrato. Immediatamente dopo l’omicidio si era detto che qualcosa andava fatto. Sono passati due anni e ancora tutto è rimasto com’era. Immobile. In silenzio. Due luoghi dimenticati quasi da tutti, tranne da coloro i quali continuano a riversarci rifiuti di ogni genere.

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