Ferrara, la testimonianza di un ex tossico: "Ho cominciato a drogarmi in un rave party"

Il racconto di un ragazzo che è risalito dall’inferno dell’eroina. "Oggi sono pulito grazie alla comunità di recupero e al Palio"

Un rave party in una foto d'archivio Germogli

GERMOGLI PH 24-04-06 FIRENZE PIANA DI CASTELLO RAVE PARTY RADUNO MUSICA GIOVANI

Ferrara, 20 febbraio 2018 – «NEL 2011, a Volano, fu una cosa mai vista prima. Non entrarono nemmeno le forze dell’ordine».

Educazione alla droga che, per molti, ha avuto come iniziazione il rave party. «E rave – ci dice questo ex tossico, ma anche esploratore dello sballo a cavallo del millennio – vuole dire delirio.

E per la cultura del genere il rave parla del respiro del mostro».

L’uomo ti guarda negli occhi: «Il rave lo possiamo fare anche io e te, adesso. Contattiamo venti persone, andiamo a casa mia. Il gioco è fatto».

Ma per il gioco serve quella cosa lì: la droga. «Un tipo di droga che oggi, a Ferrara, non trovi in Gad. Viaggia su altri circuiti. Servono i contatti».

Contatti giusti? «Fino a qualche anno fa il fine settimana la vendevano anche ai piedi del Duomo. Temi?

«Già, per il genere goa-psichedelica ci servono lsd e ketamina. Roba da viaggio, roba da dissociazione psichica nel caso della ketamina».

E la ketamina è un prodotto da veterinari, usato per i cavalli.

«Per un rave tekno, con la K, meglio le anfetamine. Hanno un effetto esplosivo». «Ma non li afferrerete mai – dice – . Per capire il mondo del rave e, nel caso, combatterlo, dovete raggiungere il senso oscuro della cosa. Il rave è un mondo con le sue regole. Un mondo che non riconosce autorità al di fuori di coloro che, cercando un senso di appartenenza, vi fanno approdo».

Senso della tribù, rito, codice e un linguaggio che, attraverso corpo e stile, genera mimesi. Quindi nuovi adepti.

«Mi sentivo il membro di una tribù. Si ballava davanti al totem, cioè al muro di casse. Sentivo che qualcosa, la droga, stava riempiendo il vuoto di un senso di appartenenza che nella vita non avevo». Come in una città fantasma. «Quando li frequentavo, in boschi e stabili abbandonati – spiega – ci si trovava sulla destra Po, in zona Santa Maria. Noi ferraresi andavamo lì. Ma il più grosso fu nel 2011. Tra il bagno Cormorano e Goro ci sono chilometri di nulla. C’era gente da tutta Europa. La quantità di droga vista quella notte non è misurabile. Girava di tutto. Eravamo più di 2mila».

Non ci sfida, il ragazzo. Ma sfida le categorie di repressione e prevenzione portandoci a vederle come residuati archeologici. Superati? «Se io ne sono uscito – dice – è stato per la comunità di recupero e per il palio. Fondamentale, per me, è stato sentirmi parte di qualcosa e lasciare che questo qualcosa rimettesse in moto il mio codice umano. Il resto era solo un rumore di fondo».