Igor e quell'inseguimento nel bosco. "Ma sparargli era troppo rischioso"

I carabinieri: "Non eravamo abbastanza vicini". Poi è sparito tra gli alberi

Norbert Feher

Norbert Feher

Bologna, 10 agosto 2017 - Da una parte una pattuglia di carabinieri in borghese. Dall’altra Norbert Feher, il pluriomicida serbo meglio noto come Igor ‘il russo’. A dividerli poche decine di metri e un Fiorino rubato. Tre contro uno. Game over? Tutt’altro. «Non c’erano le condizioni di sicurezza per potergli sparare» scrivono i militari in un verbale. Così Igor, a poche ore dall’omicidio di Valerio Verri, guardia ecologica volontaria di Portomaggiore (Ferrara), sparisce in un bosco diventando l’uomo più ricercato d’Italia. A raccontare i dettagli della clamorosa fuga del super latitante serbo adesso è una annotazione scritta a notte fonda dai militari che la sera dell’8 aprile lo agganciarono in via Spina, a Molinella.

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Stando a quanto riportano gli stessi carabinieri, dopo aver notato il Fiorino con a bordo il killer si limitano a seguirlo e a tenerlo d’occhio, in attesa di rinforzi. I militari, in contatto con la centrale, gli vanno dietro mantenendosi a una distanza di 100/150 metri. Arrivati in via Spina, all’altezza di un boschetto, Igor fa inversione e si dirige verso l’auto civetta. Il furgone ha gli abbaglianti accesi. Questo fattore (insieme alla distanza che li separa dal bersaglio) impedisce ai carabinieri di aprire il fuoco con le pistole d’ordinanza senza correre rischi. I militari decidono così di ripararsi dietro al loro veicolo. Nel frattempo il killer si ferma. Scende, apparentemente disarmato, e si dirige verso gli alberi

Passano pochi secondi e il latitante torna verso il mezzo. Recupera il suo zaino e sparisce di nuovo tra le frasche. Da quel momento si trasforma in un fantasma. Come ha fatto a uscire da quel boschetto senza essere visto? Un gioco da ragazzi per uno che quella macchia d’alberi la conosce come le sue tasche, essendo stato già in passato un suo rifugio. Imbocca un canalino di scolo e si volatilizza. In quello stesso istante inizia una delle più imponenti cacce all’uomo della storia recente. Una ricerca ancora in corso, a quattro mesi dall’ultimo omicidio. Ma se finora i contorni di quell’episodio sono stati fumosi e poco chiari, ora a parlare sono gli atti giudiziari.

«Durante le fasi di avvicinamento del soggetto – scrivono i carabinieri nella relazione – non è stato in alcun modo possibile attingerlo mediante l’utilizzo delle armi in dotazione, in quanto i militari operanti non erano in alcun modo in posizione favorevole da poter ottenere un risultato senza ulteriori conseguenze per la loro incolumità. Per cui – prosegue l’annotazione –, stante alle disposizioni e alle circostanze di tempo e di luogo, l’unica azione plausibile al momento era quella di porre un’attenta osservazione in sicurezza». 

La notizia, emersa a quattro mesi esatti dalla morte del padre, ha aggiunto rabbia su rabbia nei cuori di Francesca ed Emanuele Verri, figli del volontario ucciso da Igor quella maledetta sera di aprile. «Continuo a rimanere allibita – ha commentato Francesca –. La voce della mancata cattura era girata, ma mi era anche stato detto che non era del tutto vera. Ora spunta questo documento. Io ormai, dopo tanti mesi di attesa, non so più a cosa credere».