Ferrara, giallo del ’44, l’ultimo testimone. “Qui vidi uccidere la marchesa”

L’ex partigiano di 95 anni: "In quella casa c'erano moltissimi soldi, prima di morire scriverò chi è stato"

Giuliano Gaggiani davanti alla villa (Businesspress)

Giuliano Gaggiani davanti alla villa (Businesspress)

Ferrara, 22 giugno 2017 - «Grazie, ma so benissimo dove si trova la villa». Giuliano Gaggiani, 95 anni, aspetta al bar la chiamata del passato. Il passato è la villa della marchesa Maria Giordani Catalano Gonzaga, uccisa la sera del 17 maggio 1944 nella sua villa a Santa Maria Codifiume, tra Argenta e Molinella. Gaggiani è l’ultimo testimone in grado di raccontare l’assalto alla casa dei nobili, in quella notte a cavallo della storia. L’ultimo in grado di dare nomi, cognomi e volti ai banditi che sequestrarono una famiglia, violentarono e uccisero una donna e, nei giorni successivi, freddarono uno a uno quelli che misero il naso nel delitto. Furono giustiziati carabinieri, l’ultimo capo della milizia fascista, partigiani e collaboratori della marchesa.

Gaggiani – il capo partigiano che liberò Molinella – entra nel parco della villa, dopo 75 anni. «Qua è tutto cambiato – sospira mentre guarda le scale –. Su quello scalone, noi bambini poveri, mio padre era un pescatore, non potevamo salire». Per quelle scale salivano e scendevano solo i familiari della nobildonna di 47 anni, a capo di un impero agricolo che si estendeva da Ferrara a Bologna. Lei nascondeva il suo ‘tesoro’ proprio in villa. «C’erano un sacco di soldi nella casa, in quei giorni – afferma l’anziano – Si parlava di circa 60 milioni di lire». Dagli atti risulta che la marchesa, giorni prima della mattanza, avesse ritirato dalle banche tutta la liquidità per paura che gli eventi bellici travolgessero, tra razzie e svalutazioni, il suo patrimonio.

Gaggiani siede sulla panchina del parco della villa – oggi di proprietà del Comune di Argenta e sede di associazioni ricreative – e prende fiato. «Ma quale rivoluzione? L’assalto alla villa fu organizzato da un familiare della marchesa. Voleva quei soldi». Voleva quei soldi e nel maggio del 1944, mentre Roma stava per essere liberata dagli alleati, assoldò un gruppo di persone.

Da 75 anni a questa parte il racconto della marchesa si trasmette di generazione in generazione a Santa Maria Codifiume. «Quasi tutti, qui nei dintorni – ammette l’ex partigiano – sono convinti che sia stato io ad accopparla. Ma non è così». Gaggiani si alza e fissa una finestra nel retro della villa. «La vedete? Dormiva lì la marchesa». Gaggiani armeggia con le stanghette degli occhiali e prova ad allargare il discorso. «Io lottavo. Sono stato torturato e ho ucciso, certo, per la caduta del fascismo e per l’arrivo del comunismo».

Ma la villa reclama la verità dall’ultimo testimone del delitto. «Sono entrati da lì – dice –, sono entrati da quella porta sul retro e una volta dentro...». E una volta dentro – recitano le carte d’indagine scampate all’incendio dell’archivio del tribunale di Ferrara – sequestrarono i familiari e la servitù. «Poi – dice Gaggiani – sono andati al piano di sopra. Ma io lì non c’ero. La marchesa non l’ho sfiorata con un dito. Il ricordo che ho è di una ricca, ma non cattiva. Noi bambini del posto potevamo entrare nel parco per giocare con i loro figli. Io non le avrei mai fatto del male». Quelli che le fecero del male «venivano da fuori». «L’uomo che organizzò il colpo era un ex militare dell’esercito, convertito alla causa della Liberazione».

Un uomo abituato a navigare nel mare di mezzo tra un regime e l’altro. Tra un fronte e l’altro. Tra gli occupanti e gli alleati, tra i partigiani e i tupin – gli efficienti massacratori al soldo del regime repubblichino – e tra le linee della storia ormai alla svolta. Una ‘Sporca dozzina’ vocata al male attraverso il male, a differenza del film cult del 1967. «Arrivarono a Santa Maria – prosegue Gaggiani – alcuni giorni prima del colpo». Erano cani sciolti di ogni gruppo, del posto e da fuori, soprattutto da Bologna. «Non so perché l’abbiano violentata e uccisa». Gaggiani entra nella villa dalla scala che, nella sua gioventù, gli era preclusa. «Mi volete portare nella camera della marchesa? Non vengo. Io lassù non metto piede».

Il piano nobile della villa è chiuso a chiave. Le finestre sono blindate dalle ragnatele e con la luce del cellulare si cerca a tentoni la camera del massacro. Una macchiolina di sangue rappreso è ancora lì. Forse è solo suggestione. «Fare i nomi degli assassini? Sono tutti morti. C’erano tantissimi soldi in quella casa. La verità, forse, la scriverò prima di morire, quando sentirò arrivare l’ora».