Omicidio Tartari, la badante Rosy: "Non sono la basista di quel delitto"

La madre di Patrik Ruszo replica alle accuse del capo della banda. "Pajdek? Avrebbe voluto altro da me. Mente. Non ha mai dormito nella casa dove lavoravo"

Ruzena Sivakowa, detta Rosy (foto Businesspress)

Ruzena Sivakowa, detta Rosy (foto Businesspress)

Ferrara, 24 ottobre 2016 - A chi credere? Al capo della banda che nel settembre dello scorso anno rapinò e uccise Pierluigi Tartari – pensionato 73enne – ad Aguscello o a Rosy, la badante dei vicini di Tartari e madre di uno dei tre membri del commando, Patrik Ruszo? A processo Ivan Pajdek cerca di tirare in ballo la donna scaricandole accuse ben precise, circostanziate nel tempo e nello spazio. Avrebbe saputo, avrebbe visto e addirittura avrebbe indirizzato. La badante slovacca, dai contorni oscuri, sostiene invece non solo di essere innocente ma di avere aiutato la polizia a braccare l’assassino.

Per la città è qualcosa a metà tra una strega e una complice. Per il capo della banda che ha rapinato e ucciso Pierluigi Tartari – il pensionato di Aguscello ritrovato cadavere nel casolare abbandonato a settembre 2015 – sarebbe stata la basista del massacro.

Ruzena Sivakowa, detta Rosy è la madre di uno dei tre assassini: Patrik Ruszo. Perché non scappa da Ferrara?

«Perché non ho fatto nulla».

(Rosy al telefono non risponde. Per trovarla occorre cercarla in uno dei posti dove trova rifugio: il Darsena City)

Ivan Pajdek afferma che sia stata lei a indirizzarlo verso la preda.

«Ivan mente. Non ha mai dormito nella casa dove vivevo io, in via Ricciarelli».

(La casa dove Rosy prestava servizio come badante, accanto a quella della vittima)

«Pajdek dice così perché vuole scaricare la colpa e forse perché...».

Perché?

«Perché mi avrebbe voluta avere».

Come donna?

«Sì. Non ha mai dormito lì. E non ha mai dormito con me, nonostante lo desiderasse».

Lei ha ammesso che Pajdek, Fiti e suo figlio Patrik qualche volta si sono fermati a prendere un caffè in via Ricciarelli.

«E cosa vuole dire? Non sono, non sono... come dite qui in Italia? Una basista».

Non li avrebbe indirizzati – come suppongono nove ferraresi su dieci – verso una preda facile, un anziano indifeso?

«No».

Crede che la polizia stia facendo indagini sul suo conto?

«Credo che la polizia sappia quello che ho fatto. Ho collaborato con loro. Sono io che ho detto dove cercare Pajdek. Dove andarlo a prendere. E lui questo lo sa. È il suo modo per vendicarsi».

Pajdek dichiara che il giorno dopo la rapina fosse al tavolino di questo bar assieme a lei. E che lei fosse interessata all’esito dell’assalto a casa Tartari.

«Questa è una bugia. Chiedete al centro commerciale di mostrare le immagini delle telecamere. Quel giorno io ero con mio figlio Ruszo. C’era anche il romeno (il terzo della banda, Constantin Fiti). Ma non Pajdek. Quel giorno non si è avvicinato a noi».

(Rosy accarezza Maia, la cagnolina che vive con lei in un camper qui a Ferrara)

Perché non torna in Slovacchia dagli altri suoi cinque figli?

«Se tornassi sarebbe come vivere avendo un figlio morto. Invece Patrik è qui».

Lo va a trovare?

«Sei volte al mese».

E cosa vede?

«Un ragazzo vivo fuori ma morto dentro».

Cosa gli porta?

«Un po’ di soldi. Qualche vestito».