Omicidio di Paula Burci, ergastolo ai due aguzzini

Ma il legale di Pistroescu e Benazzo: “Cose assurde faremo ricorso”

Gianina Pistroescu e Sergio Benazzo in aula (Donzelli)

Gianina Pistroescu e Sergio Benazzo in aula (Donzelli)

Ferrara, 9 febbraio 2017 – Ergastolo. Come nei due gradi di giudizio spazzati via dalla Cassazione per un vizio di forma. Fine pena mai, con due mesi di isolamento diurno, a chi – secondo la Corte d’Assise di Rovigo – ha ucciso Paula Burci, 19 anni romena. Ovvero: Gianina Pistroescu, 36 anni con alle spalle una condanna per sfruttamento della prostituzione, e il suo compagno Sergio Benazzo (35), insospettabile idraulico di Villadose, nel Rodigino. «Ma ora sono proprio curioso di leggere le motivazioni – chiosa l’avvocato Rocco Marsiglia che con Francesca Martinolli difende gli imputati – perché se a Ferrara era tutto molto nebuloso, qui voglio vedere che cosa scriveranno. Come giustificheranno una condanna. Una condanna all’ergastolo».

Orrore. Picchiata, ferita, bruciata. Flash agghiaccianti, ricordi ancora pulsanti dell’orrore di ciò che venne alla luce il 24 marzo 2008 quando fu trovato il cadavere della giovane prostituta romena. A fiutare ciò che restava di lei, fu il cane di una coppia di ragazzi a passeggio per l’argine del Po a Zocca di Ro. «C’era qualcosa nascosto sotto un tronco», riferirono. E quel qualcosa, sotto quel pezzo di legno scavato dall’acqua e dal tempo, altro non era che parte del corpo di Paula.

Era arrivata in Italia con il sogno di cambiare vita, trovare un fidanzato, avere qualche soldo da parte. Ben presto, però, finì sulla strada a vendere quel suo giovane corpo. E quando tentò di ribellarsi, venne massacrata come la peggiore delle bestie. L’ultimo suo contatto telefonico risale al 16 febbraio 2008. E, secondo le accuse, sarebbe stata uccisa tra il 16 febbraio e il 7 marzo. «Hanno picchiato Paula – disse il pm Barbara Cavallo nel primo processo di Ferrara – approfittando del suo stato momentaneo di incoscienza e poi hanno dato fuoco al corpo. E stato un omicidio intenzionale».

Ergastolo, il 17 luglio 2012. Decisione confermata un anno dopo in Appello. Ma il 16 luglio 2014 il colpo di scena con la Cassazione che stravolse ogni cosa annullando per incompetenza territoriale e rinviando gli atti a Rovigo. Villadose, scrissero i giudici della prima sezione della Suprema corte, «è l’ultimo luogo noto» e «sicuro», in cui si sviluppò «almeno una parte, se non tutta», l’azione omicida su Paula Burci. Nullo, quindi, il giudizio del tribunale estense – e di conseguenza quello felsineo –, dichiarato incompetente per territorio. Nuova inchiesta, nuovo rinvio a giudizio, altro processo ma a Rovigo con il pm Davide Nalin che, l’1 febbraio scorso, ha richiesto il carcere a vita per entrambi. Ieri alle 15 la decisione della Corte (presidente Pietro Mondaini) che lo ha appoggiato in pieno.

«Il pubblico ministero – riprende l’avvocato Marsiglia – ha chiesto di acquisire tutto il materiale probatorio fin dalla prima udienza e la Corte gli è andata dietro. Questo processo è sempre stato percepito come un fastidio. Se appelleremo? Questo è sicuro». Ma c’è di più. Il legale, infatti, torna a Ferrara e a quelli che definisce «aspetti molto strani» fin dalle indagini preliminari. «Gli inquirenti hanno fatto cose poco belle sotto il profilo procedurale – chiosa – tenendoci nascoste testimonianze quando avevano il dovere di dirci in che modo erano state ottenute. Per questo non escludo di intraprendere un’azione al Csm e al Ministero di Grazia e giustizia perché è bene che la gente sappia come si è arrivati alla sentenza di Ferrara. Cose che, a mio avviso, fanno vergognare letteralmente e non sono degne di uno stato di diritto». Tra 90 giorni le motivazioni prima di una nuova, infinita, battaglia giudiziaria.