Profughi a Ferrara, Camelot punta sull’accoglienza nelle famiglie

La cooperativa: "Crediamo che la città sia pronta. Come a Bologna"

Alcuni ragazzi migranti

Alcuni ragazzi migranti

Ferrara, 12 ottobre 2016 - Nonostante una certa insofferenza dimostrata sul fronte profughi negli ultimi mesi, in Camelot ritengono che la città sia matura per fare un ulteriore passo verso l’integrazione. La cooperativa sta infatti lavorando al lancio, previsto tra fine 2016 e inizio 2017, del progetto Vesta, che in ambito Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) prevede la possibilità, per famiglie, coppie o single, di accogliere a casa propria un rifugiato, per un periodo che va dai 6 ai 9 mesi. Il modello è quello felsineo, già a regime, presentato nei giorni scorsi a Internazionale.

Carlo De Los Rios, direttore generale, e Federico Tsoucalas (nella foto), responsabile settore Società e Diritti, non hanno dubbi che Ferrara, al di là dei picchetti e dei presidi, sia pronta. «Tant’è - conferma Tsoucalas - che sto già ricevendo richieste di informazione». La selezione passerebbe attraverso l’iscrizione su una piattaforma, qui avverrebbe la prima scrematura con selezione definitiva dopo una serie di colloqui coi membri del nucleo (che riceverebbe un contributo di circa 350 euro mensili) per verificare l’adesione di tutti i membri. Questo in sintesi. Una formula che secondo Camelot consentirebbe l’inserimento dei migranti in un contesto sociale più ampio, grazie anche ai rapporti di vicinato che si svilupperebbero e che si rivelerebbero fondamentali per debellare la paura. «Che in fondo - commenta Tsoucalas - con la semplice conoscenza il più delle volte scompare. L’idea è quella di creare una contaminazione». Un discorso, questo, affrontato durante una visita del Carlino in due appartamenti (dei 16 su territorio provinciale) gestiti da Camelot, dove vivono giovani, età media 25 anni, che col supporto di operatori e strategie personalizzate, compiono il loro percorso (circa un anno e mezzo) verso l’autonomia, tra arrivo, attesa del riconoscimento dello status, inserimento in tirocini lavorativi in aziende, acquisizione degli strumenti indispensabili ad essere indipendenti.

«La sfida - puntualizzano De Los Rios e Tsoucalas - è superare l’assistenzialismo ed evitare che rientrino per i Servizi Sociali». Trascorriamo con loro la mattinata. Coi vertici Camelot ci sono gli educatori e alcuni ragazzi. Ci stavano aspettando e ci tenevano fosse tutto a posto. Lo si capisce dagli sguardi che si lanciano l’un l’altro, mentre parliamo, facciamo domande. Gli inquilini sono un po’ intimiditi, ma sollecitati da quesiti ci raccontano che a Ferrara si trovano bene, la girano anche in bicicletta. Si sono fatti qualche amico grazie all’apprendimento della lingua italiana, il primo grande ostacolo non solo con la gente del posto, ma spesso tra loro. Fanno volontariato e si sentono utili. Hanno paura del futuro, come tutti i loro coetanei. Sanno che questa città ha il cuore diviso a metà, lo percepiscono, ma sono consapevoli, come rimarcano gli operatori, di dover fare uno sforzo in più per essere compresi e non fraintesi».

«Piccoli gesti, che passano per un saluto cortese in un ufficio dato col ‘buongiorno’ invece che col ‘ciao’. Vengono aggiornati su cosa succede, anche ‘contro’ di loro, ma con assoluta naturalezza, senza che diventi motivo d’angoscia che va ad aggiungersi a quella di avere lasciato qualcuno, o anche nessuno, nel Paese di provenienza. Camelot segnala alcuni esiti felici: alcuni hanno conseguito la licenza media, altri si sono laureati, altri ancora dopo un percorso di formazione sono diventati a loro volta operatori. Una sorta di reciprocità dell’integrazione «che - la chiosa di De Los Rios e Tsoucalas - si rivela per noi di straordinario valore».