Rifiuti, Ferrara usata come una discarica dai clan?

Marchi (ex Legambiente): "Quando il guardiano non c’era qui sotto ci finiva di tutto"

La discarica di Ca’ Leona dove, secondo il pentito Nunzio Perrella, sarebbero stati sversati rifiuti pericolosi (foto Bp)

La discarica di Ca’ Leona dove, secondo il pentito Nunzio Perrella, sarebbero stati sversati rifiuti pericolosi (foto Bp)

Ferrara, 26 marzo 2017 - Ferrara utilizzata come discarica per riempire le tasche dei clan? Le dichiarazioni rilasciate a Raidue dal pentito di camorra Nunzio Perrella hanno diviso la città. Da una parte gli amministratori di Ferrara e Vigarano (i due Comuni finiti nell’occhio del ciclone) che difendono il loro operato e stigmatizzano le dichiarazioni del collaboratore di giustizia, annunciando esposti. Dall’altra, opposizioni e ambientalisti, che colgono la palla al balzo per tornare a discutere di un tema che, già anni addietro, aveva suscitato un codazzo di polemiche. Magari anche convocando una commissione ad hoc. Perrella, stando alle sue stesse parole, si sarebbe arricchito interrando tra Ferrara e Vigarano (i siti indicati sono la discarica di Ca’ Leona, una zona in via del Lavoro e l’area ex Orbit nel paese dell’Alto Ferrarese) rifiuti di ogni tipo provenienti da altre parti d’Italia. La commissione parlamentare sui rifiuti, guidata dal deputato ferrarese Alessandro Bratti, si è già messa in moto per svolgere accertamenti sui fatti raccontati dall’ex camorrista e verificare eventuali reati ambientali.

«Ero una bambina, ricordo bene i camion che arrivavano di sera, quando il guardiano non c’era più, e scaricavano di tutto nel vecchio macero». Marzia Marchi, ex presidente provinciale di Legambiente, parla della zona di via Caretti, il cosiddetto ‘quadrante est’, al centro da anni di proteste e indagini per la presenza di inquinanti nelle antiche discariche. «Di quanto sarebbe successo invece a Ca’ Leona, oggetto delle dichiarazioni del pentito Nunzio Perrella e della trasmissione tv, personalmente non so che dire – afferma la Marchi –, ma che nell’area di via Frutteti sia successo un po’ di tutto, sono sicura. Ci sono state anche ammissioni in incontri pubblici». Si parla degli anni ’70, quando nella zona a est delle Mura c’erano vecchie discariche dismesse (quelle dell’ex fornace Sef) ed un macero «interrato e trasformato, ufficialmente, in discarica per materiali inerti – prosegue l’ambientalista –; in teoria dovevano finirci solo scarti di lavorazione del’edilizia, oppure materiali elettronici come frigoriferi, cucine, perché la normativa non era ancora stringente. In realtà...».

In realtà, come è emerso in questi anni, nelle discariche «venivano versati in grande quantità rifiuti provenienti, si è detto, dal petrolchimico; sostanze che hanno originato le peci clorurate del Cvm – incalza la Marchi –; anche quella era una discarica gestita dell’Amiu, c’era un guardiano ma alla sera se ne andava. E alla sera, spessissimo, arrivavano i camion». Ma di veleni nel sottosuolo ne ricordava, e in grande quantità, anche Vittorio Galletti, ex operaio Amiu che nell’aprile 2009, proprio al Carlino, aveva rilasciato una testimonianza sconvolgente: «Venivano tutti, a scaricare, bastava dichiarare il peso dei materiali e si buttava qualunque cosa: rifiuti urbani, scarti di fabbrichette, latte di vernici e solvente, legno, tanta plastica. Qualche volta chiedevo se potevamo accettare tutta quella roba, i superiori mi dicevano che potevamo evitare troppe formalità. Però autorizzazioni scritte non ci sono mai state rilasciate».

Galletti, diversamente dalla Marchi, non si riferiva solo alla zona del Quadrante Est, ma a una prassi ben più diffusa: tra i luoghi per i quali sarebbero servite indagini approfondite, citava via Ponte Rigo a Quartesana, via Vallelunga a Pontelagoscuro, poi tra Casaglia e Ravalle, e la cosiddetta ‘discarica Mizzana’, a fianco del cavalcavia dell’autostrada e nelle adiacenze dell’impianto principale di Ca’ Leona. «I proprietari di decine e decine di maceri ricavavano bei soldi, consentendo di rovesciare dentro quelle fosse ogni genere di schifezza – raccontava l’ex dipendente della municipalizzata –, e l’assenza di leggi rigorose consentiva persino a noi dell’azienda pubblica di essere, diciamo così, tolleranti». In qualche modo anche Galletti, otto anni fa, si era definito un pentito come l’ex camorrista: «Un giorno, in un fondo privato che non veniva gestito dall’Amiu ma che ricordo bene, mi fu detto di portare là uno scarrabile da 19 metri: si trattava di una strana fanghiglia che non faceva neppure odore. Quella discarica fu chiusa, ma passando si vedono ancora piante brutte, frutteti messi male».