Ferrara, Willy, la verità già scritta nel 1996: "Testimone vide tutto ma fu fermato"

Ecco l’atto di 21 anni fa ‘dimenticato’ nel cassetto. Spunta il nome di un medico che curò il principale sospettato

Willy, la riesumazione (Bp)

Willy, la riesumazione (Bp)

Ferrara, 9 dicembre 2017 – Era già tutto scritto in tre pagine datate 29 settembre 1996, esattamente otto anni dopo l’omicidio di Willy Branchi. Nomi, cognomi, movente, testimoni. Uno (oculare) in particolare che, ancora oggi, non è mai stato sentito.

Si riparte da qui, per tenere in vita l’inchiesta sull’omicidio di Vilfrido Branchi, il cui cadavere venne alla luce all’alba del 30 settembre ’88 sull’argine del Po a Goro.

La procura, con un atto durissimo nei confronti di uno dei due indagati per falso (don Tiziano Bruscagin che ha ritrattato per ‘salvarsi’ da un possibile processo) e di quella parte di Goro «omertosa e con un atteggiamento di ostacolo alle indagini», ha chiesto l’archiviazione ma a quell’atto ora si oppone la famiglia Branchi.

Il documento di 36 pagine, depositato nei giorni scorsi dall’avvocato Simone Bianchi, rimette sul piatto numerosi spunti investigativi mai (o malamente) esplorati in passato e che potrebbero ridare vigore alla ricerca di verità.

L’informativa del 1986: tre pagine firmate da un maresciallo dell’Arma di Ferrara, nelle quali si riscostruisce chiaramente lo scenario in cui è maturato l’omicidio: la data è il 29 settembre 1996.

A raccontare nel dettaglio i fatti al militare, è un suo informatore (all’epoca ignoto), il quale ricordò subito l’ambiente «di perversione sessuale» in cui Willy finì, sfruttato in virtù del suo deficit cognitivo, e coinvolto «in convegni carnali».

Il movente dell’assassinio era chiarissimo già all’epoca: il 18enne voleva uscire, ribellarsi, raccontare ai genitori e al fratello tutto quanto. Cosa che scatenò la reazione inconsulta dei partecipanti che temevano uno scandalo. La fonte parlò anche di «molte persone a conoscenza della verità», ma che «tacciono per paura e omertà». Poi i nomi, otto (tra cui una donna), di coloro che «avevano assistito all’omicidio o sapevano». Ma c’è di più. L’informatore ricordò che nelle fasi successive alla morte di Willy, un giovane (e fece il nome) di Goro riferì ad altri di aver visto particolari importanti dell’omicidio ma il padre bloccò quell’iniziativa «vantandosi in pubblico di aver fermato il figlio».

Uno scenario, dunque, circoscritto, chiaro, lampante, ma paradossalmente l’atto venne ‘dimenticato’ in un cassetto senza mai arrivare in procura. Motivo? Secondo indiscrezioni, per spostamenti del personale dell’Arma, in particolare di quel carabiniere che si stava occupando del caso. E così nessuno più mise mano all’annotazione.

Ma lì c’era la verità, la stessa a cui oggi è arrivata la nuova inchiesta. L’informativa, il 2 dicembre 2015, è stata oggetto di un’interrogazione parlamentare del deputato Sandro Bratti ancora senza risposte. E la stessa procura non ha mai saputo ufficialmente il perché di quella ricostruzione rimasta nel cassetto. Perché quella pista non fu battuta e non furono svolte indagini ufficiali? La risposta la pretende la famiglia Branchi che chiede, innanzitutto, di sentire quel testimone mai ascoltato.

La notte tra il 29 e 30 settembre 1988, mentre Willy usciva dalla pizzeria assieme a Valeriano Forzati (processato e poi prosciolto per l’omicidio), per le vie di Goro c’erano alcune macchine con diverse persone a bordo, uomini e donne che, secondo gli inquirenti, potevano aver visto qualcosa di interessante. Molti sono stati risentiti dal Norm di Comacchio e dal pm Giuseppe Tittaferrante, alcuni sono caduti in palesi contraddizioni. Già nell’88, in alcune intercettazioni telefoniche, era emerso una sorta di accordo degli stessi sulla versione da riferire agli inquirenti.

Qualcuno addirittura elencò con dovizia di particolari le vie percorse in auto, le soste, gli orari, il sali e scendi degli amici. Oggi però sembra essere tutto rimosso. Da qui la richiesta dell’avvocato Bianchi di metterli uno di fronte all’altro in un confronto all’americana su quella sera.

L’indagine riaperta nel 2014, ha ricostruito la verità storica dell’omicidio, arrivando ad indicare il nome del presunto responsabile e dei suoi complici. Negli atti - dove si fa riferimento anche ad una lettera mai trovata e ad un laccio di scarpa utilizzato nella tragedia –, emerge come il principale sospettato sia stato in cura da un medico per diverso tempo, evidentemente affetto da patologie che avevano richiesto cure specialistiche. L’obiettivo della famiglia di Vilfrido è di fare luce anche su quell’episodio.