«Si valorizzi la creatività. E basta eventi clowneschi»

Pazzi: «Il futuro sindaco? Forse non di sinistra»

Roberto Pazzi (Businesspress)

Roberto Pazzi (Businesspress)

di ANJA ROSSI

Ferrara, 5 gennaio 2018 - CITTÀ d’informazione, non di formazione. Scrigno provinciale, non di provincia. Centro di spettacolarizzazione, che dimentica il suo passato e non lo utilizza per un nuovo, sentito Rinascimento. Critiche a fin di bene, Ferrara non gliene voglia, quelle che Roberto Pazzi rivolge alla sua città. Terra che attraverso alcuni suoi importanti libri ha fatto conoscere in tutto il mondo. E proprio con la mente già lontana – è prossima la pubblicazione russa di Cercando l’Imperatore, che verrà presentato a novembre all’importante Fiera letteraria di Mosca, e la traduzione in arabo de La stanza sull’acqua, che lo porterà in Egitto – lo scrittore ferrarese ritorna per un attimo tra i ciottoli estensi, ben conscio che, come ammette lui stesso, «ogni tanto guardare le cose con il cannocchiale rovesciato non fa male. Aiuta a comprendere le cose, ad amarle di più».

Che città è Ferrara?

«Una città in cui si vive bene e male, come in tutti gli altri posti del mondo. Dove ci sono limiti e pregi, come in ogni altro luogo».

Nessun limite più grande di altri?

«Uno grande è lo stesso ferrarese, che vuole essere più provinciale della provincia, che privilegia tutto ciò che è distante senza curare quello che ha di suo. La creatività, l’offerta culturale, l’originalità delle idee, diciamoci la verità, qui non sono valorizzate».

Perché, secondo lei?

«È un difetto che hanno tante altre città italiane: si tende a far di loro delle platee per spettacoli. Allora ecco i Buskers, i Balloons, le fontane luminose, l’incendio del Castello: cosa sono se non figlie di una ricerca alla mera spettacolarità? È una dimensione che alla sua base ha un demone: la paura che a Ferrara non venga nessuno. Ecco allora che le piazze si riempiono di eventi clowneschi e ‘faciloni’. Ed è un’inflazione, nell’ottica del consenso mediatico».

Solo a Ferrara?

«No, non solo. La mia è una critica affettuosa, perché le voglio bene, anche se a Ferrara i poeti e gli scrittori sono meno considerati che i giornalisti, già dal Premio Estense. Possibile che nella città di Tasso e Ariosto – diceva Lanfranco Caretti – l’unico riconoscimento letterario sia giornalistico? Hanno poi fatto il Festival internazionale del giornalismo, non uno della creatività e dell’immaginazione. A Ferrara l’informazione vince su quella provocazione culturale e quella formazione di mondi che sono le opere letterarie. Daria Bignardi vince sull’Ariosto».

Esiste un rimedio?

«Il mio sogno è portare Roberto Benigni o Elio Germano sulle torri del Castello a declamare i canti dell’Ariosto o del Tasso, come già fece nel 1981 Carmelo Bene a Bologna dalla torre degli Asinelli. Usare il simbolo della città non solo come una scatola delle meraviglie luminose. Servono i contenuti sensazionalistici, ma servono anche quelli di bellezza, come il nostro passato ci insegna. Perché rispetto a 500 anni fa il presente dev’essere invece così mortificante?».

Un fenomeno che tocca anche la nostra città è la crescente avanzata della Lega. Cosa ne pensa?

«Che i barbari arrivano e spesso hanno buone probabilità di vincere. Anche se non sono d’accordo con la Lega sul razzismo, sulla chiusura verso l’Europa, sulla paura del diverso e su molti altri temi, non è detto che il futuro sindaco sia di nuovo di sinistra. D’altra parte forse un po’ di ricambio fa bene. Il potere logora e a volte l’avversario è più efficace. Può darsi che non sia un male assoluto, può darsi che possa trovare soluzioni che chi è al potere non è riuscito a trovare».

Se dovesse scrivere una lettera a Ferrara, dunque, cosa scriverebbe?

«Scriverei: Cara Ferrara, a me piaci così come sei, altrimenti me ne sarei già andato trent’anni fa. Nessuno è perfetto, e non sei perfetta nemmeno tu».