Don Georges: la mia fuga da Mosul «Non esiste un Islam moderato»

Il sacerdote studia in Italia: cristiani costretti a lasciare case e beni

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«L’ISLAM moderato non esiste. Esistono singole persone di religione islamica moderate».

Don Georges Jahola, sarcerdote siro cattolico di Qaraqosh, città irachena della piana di Ninive appartenente alla diocesi di Mosul, il fanatismo islamico l’ha conosciuto di persona e parla con la durezza di chi le violenze, le persecuzioni, le discriminazioni e le uccisioni di cristiani e yazidi le ha viste e vissute in prima persona. Da qualche anno studia in Italia e l’ultimo viaggio in Iraq risale alla primavera del 2014, pochi mesi prima dell’avanzata dell’Isis, lo stato islamico che sta terrorizzando il Medio Oriente, proiettando la sua ombra di morte verso l’Occidente. Costante il suo contatto con amici e sacerdoti che vivono da profughi nelle zone più sicure dell’Iraq. In attesa di tornare.

Don Georges, è possibile una convivenza con l’Islam?

«Solo se a monte ci sono una costituzione e leggi chiare, capaci di garantire i diritti di tutti, e soprattutto un governo solido in grado di farle rispettare».

E il dialogo? A che punto è?

«Dal punto di vista teologico il dialogo non è possibile. E poi: con chi dialoghi visto che manca una guida? L’Islam non è una fede ma una religione. Il rapporto rispettivo tra ebraismo e cristianesimo è invece unico ed è basato sulla Bibbia. Questo con l’Islam manca».

Quindi è una speranza vana?

«Non del tutto. Dal momento che i musulmani non scindono tra politica e religione, l’unico dialogo possibile è a livello politico, tra governi. Il resto viene da sé».

L’Europa è in pericolo?

«Sì, specie dopo gli ultimi fatti. Al di là dei fanatici e dei terroristi, i musulmani pensando di potersi espandere in Europa volgendo a loro vantaggio le leggi e la tolleranza occidentali. Loro sono sottomessi ad Allah ma sognano la sottomissione di tutti all’Islam».

Com’è la situazione dei cristiani in Iraq e Medio Oriente?

««La situazione è drammatica: i cristiani, che negli anni 80 erano circa un milione e mezzo e che, pur discriminati, potevano contare su una certa protezione della legge, oggi sono poco più di 150mila ridotti a profughi».

Colpa dell’Isis?

«La persecuzione perpetrata dalle milizie jihadiste dell’Isis li ha costretti a lasciare case e beni. Stiamo parlando di una comunità antichissima, che parla l’aramaico, la lingua di Gesù, e che rischia di sparire dopo secoli, come è successo prima agli ebrei. Chi non è profugo si è concentrato nelle città governative, come Baghdad e Kirkuk. Gli altri stanno chiedendo asilo politico e sperano...».

Prima dell’Isis andava meglio?

«Non sono mai mancate disuguaglianze, umiliazioni e maltrattamenti. Ricordo che per l’Islam, i non musulmani sono dhimmi, sudditi, sottoposti con meno diritti».

C’è un futuro per i cristiani in Medio Oriente?

«Dipende da Europa e Usa e dall’esistenza di un progetto per la stabilità di quest’area. Ma è una speranza remota dato il livello di corruzione esistente in Iraq e nei paesi confinanti e, mi addolora ammetterlo, senza un intervento di terra delle forze Occidentali».

Cristiano Bendin