Rapinata in casa, legata e imbavagliata per due giorni: "Ero debole, pensavo di morire"

Il racconto della 93enne rapinata in casa: "I banditi? Grandi e grossi"

FERITA Emma Santi  in ospedale

FERITA Emma Santi in ospedale

Ferrara, 4 agosto 2015 - Legata mani e piedi, imbavagliata, derubata e abbandonata per oltre due giorni senza mangiare né bere sul pavimento della sua stanza. Emma Santi, 93enne di Mesola, paese in pieno Delta del Po ferrarese, racconta il suo calvario con lucidità e precisione. Quasi non fosse nemmeno lei la vittima della brutale rapina, messa in atto da due (o forse tre) malviventi che poi si sono dileguati con una manciata di gioielli. È seduta su un letto del reparto di cardiologia dell’ospedale del Delta. Prende una forchettata dietro l’altra da un piatto di purè. E parla, come un fiume in piena. La tempra è d’acciaio: non sembra essere appena uscita da un incubo lungo 55 ore, prima in balia dei banditi, poi prigioniera in casa sua fino all’arrivo dei carabinieri e del figlio che l’hanno liberata. L’unico segno esteriore dell’aggressione, i tagli lasciati sui polsi dalle fascette di plastica. ‘Stimmate’ della calata di nuovi barbari, che non si fermano neppure davanti ad una donna sola, di 93 anni e sorpresa nel sonno. 

Signora Santi, innanzitutto come sta?

«Qui mi fanno un sacco di analisi – indica alcuni strumenti medici presenti nella stanza –, ma io sto bene».

Ha passato un brutto fine settimana. Quando si è accorta di quello che le stava succedendo?

«Erano le tre della notte tra giovedì e venerdì. Stavo dormendo quando ho avuto la sensazione che qualcuno mi toccasse i polsi con dei guanti. Sulle prime pensavo di sognare».

E invece?

«Mi sono svegliata di soprassalto e mi sono accorta che non era un sogno. Ho fatto per muovermi per accendere la luce ma loro mi hanno fermata».

Non è riuscita a vederli quindi?

«Non distintamente. Mi hanno bloccato subito, puntandomi le pile in faccia: erano tre (in realtà nella denuncia formalizzata ai carabinieri si parla di due uomini, ma sulla vicenda sono ancora in corso accertamenti, ndr), tutti grandi e grossi».

Le hanno detto qualcosa?

«Solo uno di loro parlava. Mi ha detto solo di stare ferma. Poi hanno iniziato a legarmi le mani e i piedi con delle fascette di plastica. Infine mi hanno tappato la bocca con del nastro adesivo».

Cosa le hanno rubato?

«Prima hanno preso l’oro che avevo addosso: una collana e due anelli. Dopo si sono messi a rovistare nel resto della stanza. Hanno preso della bigiotteria dai cassetti del comò e quattro collane di perle da una scatola».

Poi se ne sono andati lasciandola sola sul pavimento.

«Sì. Ho provato a chiamare aiuto ma nessuno mi sentiva. Siamo in una zona di campagna e la casa più vicina è vuota da qualche tempo».

Cosa ha pensato in quei momenti?

«Mentre erano in casa ero terrorizzata. Quando ho visto che se ne andavano senza farmi del male mi sono un po’ tranquillizzata. Poi però col passare del tempo ho iniziato ad avere sete e fame ed a sentire dolore ai polsi».

Ha temuto di non farcela?

«Ad un certo punto sì. Mi girava la testa e avevo la gola arsa dalla sete. Mi ero indebolita molto».

In questi due giorni nessuno si è accorto di quello che era avvenuto tra le mura di casa sua?

«No. Alcune persone erano passate a salutarmi, ma vedendo le finestre chiuse hanno pensato che fossi uscita. Stessa cosa per il fornaio, che mi porta il pane a casa. È venuto, ha suonato il campanello ma non avendo risposta ha lasciato il pane all’ingresso ed è andato via».

Poi domenica, finalmente, è arrivato suo figlio.

«Sì. Ad un tratto l’ho visto entrare nella mia camera insieme ai carabinieri. Mi hanno liberato e mi hanno detto di non agitarmi, che presto sarebbe arrivata la Croce Rossa. A quel punto ho capito che ero salva».

A cosa le fa pensare ripercorrere con la mente quei momenti?

«Penso che sono anni che vivo da sola e non mi era mai successo nulla. Ma adesso è diverso: in giro c’è troppa delinquenza».