Un giorno coi parcheggiatori abusivi: "L’alternativa? Solo lo spaccio"

Sono tutti nigeriani. "Se va bene guadagno 15 euro. Ferrara? Razzista"

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Ferrara, 4 marzo 2015 - Ha 38 anni e si chiama come il giorno più bello della settimana: Sunday (domenica, in inglese). Da due anni ogni mattina, dalle 8,30 a mezzogiorno, lo si può trovare nel parcheggio in Cortevecchia. Suggerisce agli automobilisti i posti liberi, ‘dirige’ il traffico correndo di qua e di là. Quando va bene guadagna qualche spicciolo. Nella maggior parte dei casi occhiatacce o indifferenza. A mezzogiorno corre a casa: ha due bambine a cui badare, una di 3 e una di 8 anni. La moglie lavora tutto il giorno. E così Sunday la mattina, quando le bimbe sono a scuola, fa il parcheggiatore abusivo. Nel pomeriggio, il ‘mammo’. «Ma vede, alla mie figlie non posso dire che faccio questo lavoro. Che lavoro è?». Allarga un sorriso rassegnato. Sunday è nigeriano, come quasi tutti i parcheggiatori abusivi della nostra città. «Sono in Italia da undici anni. Prima lavoravo come badante – racconta – poi la signora è morta e così da due anni sto qui, in Cortevecchia. Se qualcuno avesse un lavoro da offrirmi? Direi subito di sì». I giorni buoni Sunday riesce a portare a casa 20 euro: «Ma di solito torno con 10-12 euro...» Un signore parcheggia la sua Golf. «Buongiorno». Sunday è gentile. «Gli italiani? Ci sono persone buone, altri che vorrebbero picchiarmi». Lo ringrazio. «Aspetti – mi blocca – c’è una cosa che voglio dire. Io sono cristiano. Vado a messa tutte le domeniche con la mia famiglia, a Pontelagoscuro...».

Pochi metri più avanti, piazza Sant’Etienne. Qui i parcheggiatori abusivi sono due. Hanno 38 e 40 anni. Anche loro nigeriani. «Siamo arrivati in Italia 11 anni fa, in aereo, dalla Grecia – raccontano – : da allora siamo parcheggiatori abusivi. Solo d’estate lavoriamo in campagna a Boara Pisani. A Ferrara non vogliono i neri nemmeno per la raccolta della frutta – spiegano – : prendono solo gente dell’Europa dell’Est». Non dicono il loro nome, ma mostrano il permesso di soggiorno. E il guadagno di mezza giornata. Il più giovane mette la mano in tasca: «Guardi...». Quattro euro e qualche spicciolo. «C’è un affitto da pagare... La gente ci guarda male perché facciamo i parcheggiatori. Certo, se qualcuno avesse da offrirci un altro lavoro, magari! Ma bisogna capire una cosa – dice il 38enne –: qui a Ferrara o fai il parcheggiatore abusivo o l’alternativa è fare lo spacciatore. Io preferisco stare qui e accontentarmi di qualche moneta».

E gli italiani come sono? «Cattivi, soprattutto le donne. C’è razzismo. Su dieci persone che salutiamo solo una risponde. Qualcuno chiama la polizia...». Una corsa a ostacoli. È vero anche che l’insistenza di certi parcheggiatori può diventare fastidiosa. E mettiamoci la crisi, che ha mangiato a tutti un po’ di generosità, e alcuni fatti di cronaca, che amplificano la diffidenza. Arriva un signore, giacca scura, borsa in mano. «Noi conosciamo tutti qui. La sua macchina è quella...». Me la indica e ha ragione. Al Kennedy i parcheggiatori abusivi, ogni giorno, sono almeno 5 o 6. Il piazzale è grande, bisogna dividere bene i compiti. C’è chi sta fra le auto e si sbraccia e chi presidia le macchinette dei ticket.

Passa un signore, paga il biglietto e allunga una moneta a uno dei ragazzi. Mi guarda, apre la mano: dieci centesimi. Non dice nulla. Parla il nigeriano vicino a lui. «Io non sono un parcheggiatore, ma sono venuto qui a salutare i miei amici. Ho fatto per tanti anni il vuccumprà. Ho camminato tanto, non ho più ginocchia». Si chiama Daniel. Parla bene. «Sto scrivendo un libro – racconta – ma sopravvivo vendendo nel mio Paese quello che gli italiani scartano». Sempre vuccumprà, ma al contrario. «Molti dei miei amici che vede qui stanno pensando di andare in Germania, in Svizzera o in Norvegia... Sopravvivere facendo il parcheggiatore qui è sempre più difficile. Io ho capito una cosa: italiani e africani sono come acqua e olio in una stessa bottiglia». Daniel è un filosofo. «In realtà sono un informatico, ho fatto l’università nel mio paese. Qui? Nessuno mai mi metterebbe davanti a un computer per il solo fatto che sono nero».