Forli, 3 maggio 2011 - Il riserbo alimentato dal disagio dura tre giorni. Il blitz della polizia in municipio arriva a due settimane dal voto per il nuovo sindaco. È venerdì 29 aprile. Tarda mattinata. Agenti in borghese nella piazza dello skyline più suggestivo di Romagna, Bertinoro.

La Squadra mobile di Forlì è attrezzata con esperti informatici e avvisi di garanzia, firmati dal sostituto procuratore della Repubblica Filippo Santangelo: cinque indagati, tecnici e funzionari del Comune (due di loro lavorano adesso in un’altra amministrazione). Nessuno con nomina politica. Ma il Colle ha un tremito. La notizia resiste tre giorni. Solo ieri tracima. Le accuse ipotizzano l’abuso d’ufficio e il peculato. Reato, il secondo, che offre potenziali rischi sanzionatori finali: il codice penale parla di reclusione da tre a dieci anni.

La sostanza dell’ordito giudiziario — scattato da approfondimenti su un caso di peculato che ha coinvolto, un paio d’anni fa, un altro dipendente comunale — è chiusa a chiave dal segreto istruttorio. Ma soprattutto, il midollo dell’inchiesta è sigillato in alcune chiavette digitali in cui sono state ‘traslate’ le memorie dei computer dei cinque dipendenti incriminati. Gli agenti della Mobile, coordinati dal dirigente Claudio Cagnini, dovranno adesso valutare lo sterminato cocktail di stimoli, immagini, mail, foto, fotine, tracce, materiale in parte sequestrato, in parte acquisito (non è una scriminatura lessicale ma giuridica: il sequestro ha un valore probatorio ai fini delle indagini).

Cosa c’è nella documentazione repertata dagli inquirenti? «Nemmeno noi lo sappiamo con precisione» rintocca senza concedere il bis l’unica sillaba, ufficiosa, che scavalca i rigidi ambienti investigativi. Fonti giudiziarie allargano la visuale: la teoria di lavoro al vaglio della Mobile è che i dipendenti finiti nel mirino della legge abbiano utilizzato il computer per scopi non funzionali all’ufficio (peculato). Sì, ma in che termini? Nessuno si sbilancia. Le diverse sfaccettature verranno messe a fuoco dalla lente dei poliziotti: si ipotizzano chat proibite; abboccamenti via facebook; viaggi indiscriminati in siti non propriamente attinenti al lavoro impiegatizio. Ma è su questo crinale che si affollano già le contromosse degli avvocati. Invocando lo scudo difensivo più robusto e diffuso, la privacy del lavoratore, i legali batteranno il ferro della più che plausibile affinità tra i collegamenti via computer degli indagati e le loro mansioni. La sfida giudiziaria è appena al fischio d’inizio.