Forlì, 10 aprile 2012 - HICHEAM KHAMASSI, 39 anni, tunisino da 18 anni in Italia, presidente del centro di cultura islamica di Forlì. Secondo Paolo Rava, assessore comunale con delega all’Urbanistica, ci vorranno dai quattro ai sei mesi per avere la nuova moschea in via Masetti. È soddisfatto? «Sei mesi? Mi sembrano tanti. Non vedo il motivo per cui si debba aspettare così tanto tempo. Sono tre anni che parliamo della questione, non due mesi. Speriamo si risolva tutto prima».
C’è il problema della variante urbanistica da affrontare.
«Io mi auguro non si allunghino ulteriormente i tempi. Finora sono sempre sorti ostacoli o difficoltà. Non si cerchino scuse. A questo punto mi aspetto che non si vada oltre i sei mesi. Ricordiamoci che parliamo di un luogo di preghiera».
Perché il centro di via Fossato Vecchio non è più adatto alle vostre esigenze?
«È troppo piccolo. Siamo anche in trecento quando al massimo quella struttura può ospitare una sessantina di persona. E allora molti sono costretti a pregare in strada. Nel Forlivese ci sono circa quattromila persone di religione musulmana».
Quanto è stato pagato il capannone di via Masetti?
«È costato 430mila euro, lo abbiamo acquistato nel 2008».
Come sono stati trovati i fondi?
«Li abbiamo trovati attraverso una raccolta che è partita nel 1998. Capisco che a molti possa sembrare strano perché si tratta di una somma di notevole entità, ma sono stati necessari tanti anni per ottenerla. Noi abbiamo dei soci, che pagano una quota in base alle loro possibilità economiche, e abbiamo un libro nel quale teniamo conto delle entrate e delle uscite. Tutto trasparente. Ne abbiamo parlato ai rappresentanti del Comune e a quelli dei partiti nell’incontro del 22 marzo. Abbiamo già dato risposte in tal senso».
C’è chi teme un legame con i movimenti islamici più radicali. Tutto trasparente anche da questo punto di vista?
«Abbiamo parlato anche di questo. Noi siamo disponibili a qualsiasi tipo di controllo».
Più giusto parlare di moschea o di centro culturale?
«La moschea è un luogo di preghiera. Il nostro sarà un centro culturale, perché non sarà soltanto un luogo di preghiera. Ci sarà anche una scuola nella quale insegnare l’arabo ai nostri figli, molti dei quali sono nati in Italia. Io, ad esempio, ho due figli di dieci e sei anni che sono nati qui e parlano l’italiano».
È vero che in alcuni paesi di religione musulmana non c’è libertà di culto per i cattolici?
«Bisogna fare una distinzione tra musulmani sciiti e sunniti. I primi sono soprattutto in paesi come l’Iran. Noi siamo sunniti, più moderni e con un comportamento diverso. Guardi al mio paese, la Tunisia: c’è la donna che gira col velo e quella che va in minigonna. La libertà, quindi, è assicurata. Nel Forlivese ci sono anche musulmani europei e persino italiani». 

di Giuseppe Catapano