Santa Sofia (Forlì-Cesena), 29 aprile 2012 - CLAUDIO BANDINI di Santa Sofia, oggi artista a tutto campo, ha alle spalle un lungo curriculum politico-amministrativo. Giovane funzionario del Pci alla fine degli anni ‘60, è stato vicesindaco di Santa Sofia, presidente della comunità montana forlivese, vicepresidente dell’azienda regionale delle foreste, assessore provinciale all’agricoltura ed infine presidente della confederazione italiana agricoltori. E’ andato in pensione nel 2000, ama la bicicletta e la lettura, «ultimamente quella serba, Miloš Crnjanski in particolare», ma la sua grande passione è dipingere e i riconoscimenti non mancano. Più di 100 le esibizioni in Italia e all’estero, le sue opere sono presenti in musei, collezioni private e pubbliche con opere in permanenza alla Gallery T66 di Hangzhou in Cina.

Bandini, questo per lei è un momento di grande creatività artistica.
«Direi di sì. Da quando ho avuto la possibilità di dedicarmi completamente all’arte e cioè dal 2000, ormai passo l’intera giornata a riflettere e a dipingere».

E’ stato difficile tornare ad una vita normale dopo la lunga attività politica e professionale a livelli importanti?
«No. Ho sempre sofferto durante gli anni ruggenti del fare politica di non poter dedicarmi ai quadri anche se non ho mai cessato completamente di dipingere. Del resto a 8 anni vinsi il primo premio ad un concorso nazionale indetto dal ministero della pubblica istruzione disegnando da una S un cigno ad ali aperte. Ma il ricordo più bello è il primo premio della sezione giovani al Premio Campigna nei primi anni ‘60 allora curato dal grande critico Carluccio. Il mio primo maestro è stato Innocente Biserni ‘Cencino’ cofondatore con Vero Stoppioni del Campigna, quindi...».

Il lavoro e la politica quindi non l’hanno mai assorbita completamente.
«Certo, ho fatto alcune personali e partecipato a collettive negli anni ‘70 e ‘80 come la Biennale di Forlì, a Piacenza, Cesena, Fabriano, Roma e naturalmente a Santa Sofia, il mio paese natale».

Ci racconti in sintesi l’evoluzione del suo stile.
«Negli anni Sessanta mi piacevano il figurativo e le tele di Morandi, in seguito negli anni ‘70 mi sono esercitato sul chiaro scuro di Michelangelo e sul corpo umano leonardesco. Ma la vera passione è scoppiata nel decennio successivo con la scoperta di Klimt, Gaudì, dei mosaici bizantini per finire agli artisti della Secessione viennese e, infine, negli anni ‘90, con la folgorazione per Kandinsky e per la sua opera ‘Il cielo’ che mi ha spalancato le porte all’informale e all’astrattismo di Klee e Mirò».

Per lei l’arte cosa rappresenta?
«La mia è un’arte della sopravvivenza, è un medium per entrare dentro se stessi per una introspezione profonda delle proprie emozioni e liberarle dai lacciuoli della realtà. L’arte deve farci provare meraviglia, stordimento, per capire gli strati profondi della propri anima, per riscoprirsi e trovare la pace interiore. Sì, la felicità si trova solo dentro se stessi e non nei falsi idoli del denaro e del possesso. Con l’arte la società diventa migliore e spero di esserlo diventato anch’io».

Qual è la sua tecnica di lavoro?
«Dalla tela sono passato alla tavola utilizzando supporti simili all’affresco, supporti particolari (sabbia fine di fiume legata da colle particolari) sui quali applico la tecnica del fresco a secco. Uso pochi colori ad olio, ma quelli acrilici che danno più trasparenze e, a volte, le tempere».

Colore preferito?
«Il mio colore prevalente è il blu, gli ori e le tinte chiare servono per rafforzare le tinte più scure. In genere parto con alcune linee senza sapere cosa verrà fuori».

La sua giornata tipo?
«Vado avanti tra creazione e modificazioni continue. Non faccio bozzetti, parto direttamente sulle tavole, traccio le linee, mi fermo, interiorizzo e poi quando c’è l’accettazione comincio ad usare il blu e costruisco spazi geometrici. Mi fermo di nuovo, cambio il colore e dal nucleo originario con un lungo processo le forme sulla tavola si evolvono. Un’opera? In media la completo in una settimana».

Collaborazioni importanti?
«L’artista serba Nina Todorovic e la napoletana Lilliana Comes su tutte».

Prossimi appuntamenti?
«Tanti. Le mie opere delle serie ‘Hearts, Emotions e Inner Life’ si potranno vedere al castello di Acaya di Lecce, all’Art Festival di Cerreto laziale con una bipersonale proprio con la Todorovic dal titolo Inno alla vita e alla speranza da me rappresentata in 5 affreschi di medie dimensioni del periodo 2006 - 2009 appartenenti al ciclo la leggerezza di essere. la Todorovic invece rappresenterà la condanna della guerra con 50 foto rielaborate della Belgrado bombardata dalla nato durante l’ultima devastante tragedia balcanica. Le foto (40x30) in forex ruoteranno intorno agli affreschi in un armonico contrasto simbolico di grande effetto emotivo e scenico. E ancora all’Arsenale di Venezia alla mostra ‘L’arte italiana dagli anni ‘60 - ‘70 ai nostri giorni’ dove sarò presente con sei opere vicino ai grandi artisti italiani e stranieri di quel periodo. Infine a Rovereto, sono invitato dalla Fondazione Opera campana dei caduti e dall’aprile di quest’anno e fino all’aprile 2014 in Cina tra Huangzhou e Zhejiang e dintorni».

Dalla Valle del Bidente alla Cina il salto è lungo.
«L’arte non ha confini... per nostra fortuna». 
 

Oscar Bandini