Forlì, 2 febbraio 2014 - «VEDE questa? E’ una Fender Stratocaster Sunburst del 1954. In quell’anno di chitarre così ne sono state prodotte 19. Ma questa è l’unica al mondo totalmente originale. E’ un po’ come la Gioconda». Flavio Camorani, 51 anni, forlivese, parla delle seicorde disseminate nella sua casa-museo-sala prove di Malmissole come di ‘bambine’ volute e cresciute con amore. Una collezione inestimabile di oltre cento pezzi rarissimi tra chitarre, bassi elettrici e amplificatori rigorosamente firmati Fender (FOTO). Ma questa non è l’unica passione di Camorani, che è anche il batterista della tribute band Floyd Machine con cui calca i palchi di tutta Italia da 15 anni, riproducendo i brani del gruppo di ‘The Wall’ con una precisione maniacale fra strumenti d’epoca, luci e video fedelissimi all’originale.
Camorani, parliamo delle sue chitarre. Quanto tempo ci ha messo a costruire una collezione così?
«Trentaquattro anni. Dopo il diploma all’alberghiero ho iniziato a lavorare come cameriere ad alto livello: ho messo da parte stipendi e mance per comprare strumenti d’epoca. All’inizio facevo acquisti confusi, poi ho puntato sulle chitarre Fender. Oggi possiedo tutti i modelli originali con relative custodie delle chitarre elettriche prodotte dal 1950 al 1974».
Quanto vale una collezione così?
«Spesso la gente vede gli strumenti con l’euro davanti. Io le mie chitarre le considero come persone».
Ci sono chitarre in ogni stanza, non è gelosa la sua compagna Michela?
«Assolutamente no (ride, ndr), sono un romantico. Poi Michela è preziosissima. Con lei ho ideato il museo itinerante delle chitarre, mi ha aiutato per il primo libro sulla collezione ‘Our vintage soul’ e mi sta aiutando per il seguito».
Vi contattano in molti per le chitarre?
«A parte i musicisti che sono venuti a vederle, come Eugenio Finardi, Piero Pelù da cui ho comprato una dodicicorde in collezione e i Negramaro, ogni giorno ci arrivano mail con richieste di informazioni da tutto il mondo. Volevano esponessi a New York, ma poi non se ne è fatto niente. Mi hanno contattato anche per il festival di Castrocaro».
E Forlì? Le piacerebbe allestire un museo delle chitarre?
«Un domani. Se non avrò necessità di vendere la collezione, la mia idea è di devolvere tutto a un Comune per l’allestimento di un museo con il nome mio e di Michela e il ricavato dei biglietti dovrà andare in beneficenza».
La collezione è stata esposta anche al Naima: ora che il club non è più nella sede storica non crede che la città si sia impoverita?
«Senz’altro. A Forlì non c’è più un locale che proponga musica dal vivo a livello professionale. Ci proviamo noi con la rassegna delle tribute band ‘Rock’in’time’ alla Taverna Verde».
Ma mancano i grandi nomi, i mostri sacri della musica...
«Non lo nego, ma sarebbero salti nel buio. Ho una piccola cooperativa musicale, la Prisma melody, ma senza l’appoggio delle istituzioni non me la sentirei di correre rischi così grandi».
A proposito: è uno dei fondatori dei Floyd Machine. Non vi siete stancati di proporre sempre brani dei Pink Floyd dopo 15 anni?
«No, perché la ricerca continua. E il 21 febbraio saremo alla Taverna Verde in versione quartet per un concerto inedito. Faremo rivivere i live dei Pink Floyd del periodo ’67-’72. Un evento pazzesco, roba da sacchi a pelo».
E’ vero quando avete incontrato i Pink Floyd il batterista Nick Mason vi ha detto che riuscite a riprodurli meglio di com’erano loro agli inizi?
«Sì, nel 2005, alla presentazione dell’autobiografia del gruppo mi ha detto proprio così. E’ stata una delle mie più grandi soddisfazioni insieme a un’altra».
Quale?
«Era il 2011: durante il tour mondiale di ‘The Wall’ all’Arena di Verona Roger Waters ci ha fatto avere un pass speciale per salire sul palco. Lì abbiamo parlato, ci siamo scattati foto ricordo: indimenticabile».

di Milena Montefiori