Forlì, 15 aprile 2014 - Un giorno, Giampaolo Di Lorenzo sbottò: «Ci tocca giocare in stile anni Ottanta, con la palla al pivot». Era la (breve) stagione che condivise con Lorenzo Gordon. Forlì ha giocato in maniera piuttosto simile a quella FulgorLibertas, con un attacco molto palleggiato e la ricerca di giochi a due tra piccoli e lunghi con troppe poche frecce in faretra per essere efficaci. Per essere più chiari: Tyler Cain non è pericoloso da tre punti e non apre il campo, idem Rosignoli, mentre all’opposto Eliantonio non è credibile a centro area. Ancora: Ferguson ha raccolto troppi pochi falli, troppi pochi canestri in area, pagando la statura e finendo spesso stoppato. Tanto per capirci: Goldwire poteva far male sia in entrata che al tiro. A un certo momento della stagione, l’unico che entrava davvero era Basile. E poi anche lui si è perso.

Questa Forlì, in sostanza, retrocede perché è stata costruita male. Con troppi specialisti, troppi giocatori monodimensionali, mentre il basket moderno (e soprattutto il basket dei poveri) ha l’eclettismo come parola d’ordine. La contraddizione è esplosa nel cuore del quarto periodo, con Forlì che aveva finalmente la partita in pugno: Rosignoli aveva girato tatticamente e mentalmente la sfida, e però era destinato a tornare in panchina per fare spazio a Cain: perché entrambi possono giocare solo pivot puro. E di sicuro non si possono abbinare a Eliantonio, che è troppo lento per essere ala piccola e troppo molle per essere pivot. Aggiungiamo Sergio, Crow, Ferguson, che non sono mai riusciti — in una stagione, non in una partita — ad attaccare l’area con continuità. Ecco l’identikit di una squadra che forse ha fatto fin troppo, di sicuro non poteva salvarsi. Errori pesanti commessi in estate, ai quali era difficile rimediare dopo. Che non potranno più essere ripetuti.

Marco Bilancioni