Il Big Bang della destra

NON occorre essere di destra per avvertire il dovere di esporsi. Ieri, le province autonome di Trento e Bolzano hanno polemicamente annunciato che, trasgredendo l’indicazione di Roma, domenica non esibiranno il Tricolore in occasione del centenario della Grande Guerra. Come presidente del Consiglio e segretario del partito che con quelle giunte governa, Matteo Renzi avrebbe dovuto richiamarle all’ordine. Invece ha taciuto. Tuttavia, in molti ritengono che sia uomo di destra. Ma Renzi non è né di destra né di sinistra: è un uomo politico. E l’istinto spinge gli uomini politici ad assecondare lo spirito dei tempi e ad occupare gli spazi lasciati vuoti da alleati e avversari. Corrono oggi tempi congeniali alla destra, ma la destra non c’è. C’è l’elettorato, non c’è chi lo rappresenti. L’unica cosa viva che calca il terreno un tempo stabilmente presidiato dal centrodestra è la Lega di Matteo Salvini. O meglio: è Matteo Salvini in persona. Per il resto, solo anime morte, personaggi in cerca d’autore e portatori di interessi particolari. Una situazione paradossale, dati i tempi. La globalizzazione e il fenomeno migratorio alimentano un profondo bisogno di identità e di radici, avvertito tanto dai singoli quanto dalle nazioni.

LA CRISI della politica e quella, conclamata, di un’Europa evidentemente priva di collante e di leadership, inducono a rimpiangere gli Stati e la sovranità perduta. C’è voglia di Patria, con le sue mille implicazioni. La minaccia esterna rappresentata dall’Isis e quella, interna, incarnata da vecchi anarchici e giovani black bloc rendono attuali concetti antichi come guerra e forza. Riassumendo: identità, radici, Stato, sovranità, Patria, guerra, forza. È impugnando queste parole che tradizionalmente prende vita la destra. Ma le parole chiave del lessico di destra restano oggi inutilizzate: giacciono inerti sul campo di battaglia politico e quando vivono, vivono solo sulle labbra di un premier ufficialmente di ‘sinistra’. Ha osservato sul ‘Corriere della Sera’ Ernesto Galli della Loggia che un nuovo e al tempo stesso antico vento «conservatore» sta spettinando i capelli e gonfiando i cuori dei popoli europei. Secondo lo storico si tratta di «nostalgia».

Secondo noi si tratta invece di necessità. È necessario che i sentimenti che promanano da quelle parole abbiano soddisfazione. Possono essere soddisfatti in tante e diverse maniere, ma non possono essere trascurati. Non riguardano il passato, infatti, ma il presente. E perciò alludono al futuro. È dunque paradossale che in un’epoca così potenzialmente feconda per la destra, un’epoca in cui i governi più solidi d’Europa sono quelli guidati dai conservatori Cameron, Merkel e Rajoy, in Italia il centrodestra sia così clamorosamente malridotto. C’è Matteo Renzi, certo. Ma gli studi sui flussi elettorali delle scorse Europee ci dicono che sono stati solo 500mila gli elettori del centrodestra sedotti dal Fiorentino. La massa, semplicemente non vota. I tempi sono congeniali, dunque, e Renzi non si è (ancora) stabilmente acquartierato nel campo avverso. Eppure, nulla di nuovo sembra nascere a destra. Un fenomeno che ha dell’innaturale. Chissà che il presumibile cataclisma delle prossime regionali non inneschi un processo fecondo: non resta, ormai, che confidare in un Big Bang del centrodestra. O attendere l’esodo della sinistra dal Partito della nazione di Renzi.