2009-05-22
di ANTONELLA COPPARI
— ROMA —
«LE ASSEMBLEE parlamentari pletoriche sono assolutamente inutili e addirittura controproducenti». Davanti agli industriali, il presidente del consiglio dà picconate forti alle Camere e al ruolo che svolgono. E lo fa con il trasporto di chi ritrova un collaudato cavallo di battaglia, consapevole di scatenare un vespaio di polemiche: «Diranno che offendo il Parlamento ma è la pura realtà». La campagna elettorale incombe e lui ha bisogno di vellicare gli umori popolari per strappare voti alla Lega, alleggerendo la pressione delle ultime vicende di cronaca che l’hanno visto protagonista. Ciò non significa che rinneghi gli attacchi periodici ai giudici «estremisti di sinistra» il cui vero obiettivo, secondo lui, è di farlo fuori politicamente.

LA STRATEGIA appare chiara: Silvio Berluconi vuole dettare l’agenda e non farsela fissare dall’opposizione o, peggio, dalla magistratura. E non è tanto lontano dal vero chi scommette sul fatto che cambierà argomento tutti i giorni per raggiungere l’ obiettivo. In questo caso, sfrutta l’assist che gli offre il presidente degli industriali Emma Marcegaglia quando chiede di utilizzare il potere e il consenso di cui gode per realizzare le riforme necessarie al Paese, per accendere la miccia e ipotizzare — nel medio periodo — una modifica della Costituzione con il coinvolgimento degli italiani.
Mentre nel breve periodo gli serve per far digerire i decreti passati e quelli che è pronto a tirar fuori dal cassetto, motivandone l’uso con la lentezza delle Camere. Con buona pace di Napolitano e Fini che non perdono occasione per ricordargli di non abusarne.
«Io, che mi sono sempre sentito un rivoluzionario, ritengo che le rivoluzioni sono più facili delle riforme. Noi incontriamo difficoltà infinite con la burocrazia».

IL PREMIER replica alla leader degli industriali con lo stesso piglio utilizzato quando è ospite in di una tribuna politica: punta il dito contro le istituzioni inefficienti e racconta la sua verità. «Il presidente del consiglio non ha nessun potere, perchè la Costituzione è stata scritta dopo il ventennio fascista e tutto il potere è stato dato al Parlamento che è pletorico: sono 630 deputati, ne basterebbero 100 come il congresso americano». Due terzi degli inquilini di Montecitorio, insomma, sono superflui: da qui, la chiosa sulle assemblee inutili e controproducenti. «Ci sono parlamentari che non si vedono mai perchè hanno cose più importanti da fare che stare con le mani nella scatoletta del voto e votare cose che nessuno conosce... Come si vota? Si guarda il capogruppo che fa segno con il pollice...».
Si può leggere in controluce — avverte qualcuno — un colpo a Fini e alla politica dell’equidistanza da lui inaugurata come presidente della Camera che, a volte, «rallenta i lavori». La cura è semplice: un drastico taglio di teste «ma per questa riforma servirebbe un disegno di legge di iniziativa popolare, perchè non si può chiedere ai capponi o ai tacchini di anticipare il Natale». Da giorni coltiva l’idea di modificare la Costituzione chiamando a raccolta tutto il Paese con gazebo e affini: una legge popolare sottoscritta da milioni di cittadini avrebbe una portata diversa rispetto alle solo 50mile firme previste per convalidare l’iniziativa popolare.

UNA SFIDA a chi gli rema contro alla ricerca del consenso plebiscitario: un progetto simbolico che dovrebbe partire dopo le Europee. Certo, i toni utilizzati fanno rabbrividire più d’uno anche del giro stretto, ancorchè la sostanza sia difesa da tutti. Ben altro il comportamento di Fini, che pure non stupisce il premier («lo fa per contratto»). Il portavoce Bonaiuti tenta di smussare gli angoli: «Il presidente della Camera conferma quanto detto da Berlusconi: serve una riduzione del numero dei parlamentari». Dichiarazione che. per Fini, garantisce a «Paolino» il premio «faccia di bronzo» . Evita di farsi trascinare nelle polemiche il Quirinale, impegnato con Grillo sul lodo Alfano, ma tre settimane fa, a Torino, Napolitano aveva detto ben altro sulla Costituzione....