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QUANDO si assistono i malati di demenza, bisogna uscire dalla dimensione razionale, per entrare in una dimensione emozionale. La demenza, in particolare quella di Alzheimer, sconvolge tutti i canoni classici della comunicazione. Il malato sente il bisogno di esprimersi senza però sapere come fare. Chi assiste ha il dovere di creare le occasioni e di sforzarsi di entrare nel mondo del malato, cercando di capirlo e di farsi capire.
Partendo da questa convinzione, dal luglio 2008 il personale sanitario e socio-assistenziale della casa protetta Santa Maria di Tossignano ha intrapreso un percorso sperimentale di doll therapy (una terapia che prevede l’uso di speciali bambole) con alcune ospiti della struttura, avvalendosi del supporto di Ivo Cilesi, esperto di terapie non farmacologiche della Fondazione Cardinal Gusmini di Vertova (Bergamo).

IL GRUPPO di lavoro che si è impegnato nella sperimentazione era composto da più figure professionali che operano alla casa di riposo: Gino Faccani (medico di famiglia), Stefania Campitelli (fisioterapista), Morena Vasile (animatrice) e Barbara Colombo (infermiera), ma è stato il contributo di tutti gli operatori e dei familiari a rendere attuabile il progetto. «La doll therapy? — spiega Barbara Colombo — è una terapia non farmacologica che prevede l’uso di speciali bambole terapeutiche provenienti dalla Svezia, che presentano particolari caratteristiche in termini di peso, dimensioni, tratti somatici, posizione delle braccia e delle gambe, materiale e altro. Nei confronti di queste bambole, il malato esprime il proprio affetto e rivolge le proprie attenzioni, identificandole come un bambino e non più come bambola. L’impegno nell’accudimento, nonché l’attivazione di relazioni tattili, portano a una diminuzione dei disturbi comportamentali e stimolano i processi di memoria, la creatività, il dialogo e la capacità di relazione permettendo, talvolta, la diminuzione delle terapie farmacologiche».

LA CASA PROTETTA di Tossignano ospita 40 anziani non autosufficienti nei quali il deficit cognitivo e i disturbi del comportamento sono prevalenti. «Anche noi, negli anni, abbiamo assistito all’aumento del numero di ospiti con problemi di demenza — osserva Gino Faccani —. Le raccomandazioni dei più importanti organismi internazionali ribadiscono di attuare, nelle demenze di grado lieve, un intervento non farmacologico prima di intervenire con i farmaci e di utilizzare questi ultimi solo se necessario e in sinergia con il trattamento non farmacologico nelle forme di grado moderato-grave, Ci è parso quindi doveroso sperimentare una di queste metodiche alternative: abbiamo preso contatti con Cilesi che ci ha fornito le informazioni necessarie per la stesura del progetto doll therapy».

IL TEAM ha selezionato alcune ospiti che possedevano i requisiti per rientrare nel progetto, primo fra tutti un deficit cognitivo medio-grave che permettesse loro di identificare la bambola come persona-bambino. «E’ stata una fase molto importante — aggiunge Morena Vasile — in cui è stata necessaria la collaborazione del familiare di riferimento per poter acquisire la ‘biografia’ del paziente ed escludere ospiti nel cui vissuto ci fossero stati eventi luttuosi o traumatici legati all’esperienza di maternità: è una controindicazione importante alla terapia della bambola. Abbiamo acquistato quattro bambole assegnate alle ospiti secondo precise modalità».

«L’INTERVENTO — prosegue Vasile — è stato strutturato e personalizzato. Il piano terapeutico prevedeva la consegna della bambola-bambino da parte degli operatori, codificata in base all’insorgenza di un bisogno (comparsa di stato agitativo acuto) o modulata in base a un programma quotidiano (individuando fasce orarie critiche)». E i risultati non si sono fatti attendere.