Imola, condannate le assenteiste del Centro per l'impiego

Un anno e sei mesi di reclusione (pena sospesa) e 500 euro di multa per le tre dipendenti

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Imola, 1° luglio 2016 - Il giudice unico del tribunale di Bologna, Paola Palladino, ha condannato a un anno e sei mesi di reclusione (pena sospesa) e 500 euro di multa le tre dipendenti del Centro per l’impiego di via Boccaccio, dipendenti della Città Metropolitana, per truffa aggravata ai danni dello Stato. Le tre donne sono state anche condannate a pagare 15mila euro in solido a favore dell’ex Provincia e al pagamento delle spese legali sostenute dall’ex Provincia. E’ così approdata al primo grado di giudizio la vicenda, iniziata tra il 2011 e il 2012, che aveva fatto molto scalpore in città, in un momento storico del nostro Paese in cui, a torto o a ragione, i dipendenti pubblici sono spesso nel mirino per assenze ingiustificate.

E proprio per assenze non motivate e quindi truffa aggravata continuata in concorso erano state rinviate a giudizio le tre dipendenti del Centro di via Boccaccio. Erano state le indagini del commissariato di Polizia imolese a pizzicarle: secondo l’accusa si erano ripetutamente e sistematicamente assentate in orario d’ufficio per sbrigare faccende personali, il tutto senza timbrare l’uscita. L’aggravante era data, per l’accusa sostenuta dal pm Antonella Scandellari, dall’aver sospeso un pubblico servizio.

Una delle tre è stata difesa dagli avvocati Marco Minoccari di Imola e Massimiliano Starni di Forlì. L’avvocato Alberto Padovani di Imola tutelava le altre due. «Faremo certamente appello – attacca l’avvocato Minoccari – Si tratta di una sentenza rigidissima, quasi cattiva. Io e l’avvocato Starni riteniamo che la sentenza sia stata poco soppesata per quanto riguarda le ore di lavoro effettuate dalla mia assistita, dal momento che sono state valutate solo le mancate smarcature del badge ma non per assentarsi a proprio comodo, bensì per partecipare ad altri incontri con altri enti del Comune di Imola per progetti di inserimento lavorativo. Non è stato minimamente considerato che la mia assistita ha lavorato anche con una costola rotta, mentre avrebbe avuto diritto a venti giorni di convalescenza».

«Ad avviso della difesa – prosegue il legale – il giudice ha confuso illeciti disciplinari con il profilo penale dell’ingiusto profitto. Gli episodi contestati sono stati diciotto, ma solo 2-3 concretamente accertabili. Dispiace che in un clima giustamente rigido con i fannulloni si debba però andare a toccare chi in realtà non era da condannare e si faccia di tutta un’erba un fascio, tanto che non è stata nemmeno graduata o diversificata la responsabilità di ciascuna delle imputate, come se avessero fatto le stesse cose».

«Da parte nostra c’è stupore e grande delusione – rincara la dose l’avvocato Alberto Padovani – Ritengo che martedì presenteremo appello. La sentenza per noi non ha una motivazione plausibile: è apparentemente motivata, perché descrive al plurale condotte contestate unicamente per la dirigente. Evidentemente il giudice, che reputo bravo e preparato, ha ritenuto le condotte assimilabili». Le tre dipendenti sono al lavoro; il procedimento disciplinare avviato a suo tempo dalla Provincia è per il momento sospeso.

ma. mar.