"Le aziende agricole muoiono". Il grido d’allarme della Cia

Il presidente Zambrini: "La politica deve capire e dare una mano"

La presentazione del progetto di sensibilizzazione sullo stato di crisi del settore agricolo (Ansa)

La presentazione del progetto di sensibilizzazione sullo stato di crisi del settore agricolo (Ansa)

Imola (Bologna), 23 settembre 2014 - Non c'è agricoltura senza agricoltori. Detta così, sembra anche ovvio. Ma se si riflette sul gravissimo stato di crisi del settore, sulle difficoltà che il fronte dei produttori incontra nello spuntare prezzi remunerativi quando si vende alla grande o media distribuzione, se si riflette anche sul fatto che da anni il comparto stringe la cinghia e pian piano le aziende scompaiono, ecco che la frase iniziale acquista un altro senso. Ha cercato di spiegarlo la Cia (Confederazione italiana agricoltori) che ieri nella sede di via Fanin ha fatto il punto sulla situazione, rendendo noto che sabato al mercato a Imola e lunedì al Cassero a Castel San Pietro allestirà un gazebo informativo per fornire alcuni piccoli e significativi dati. Per esempio un chilo di pesche costa al produttore 45 centesimi al chilo e viene venduto alla distribuzione a 29; le pere abate costano al produttore 61 centesimi, e il prezzo spuntato è 42. Basta fare un po’ di conti per capire che non si dura.

«La Cia rappresenta un migliaio delle circa 2000 aziende agricole dell’Imolese – dice il presidente Giordano Zambrini – Negli ultimi dieci anni ce ne sono stati 4 di crisi, che ha colpito soprattutto le aziende giovani, quelle che hanno fatto investimenti. Produciamo per per esempio eccellenti pesche seguendo disciplinari tra i più rigidi in Europa, e arrivano sul nostro mercato prodotti esteri che beneficiano di minori costi di produzione, derivati anche dall’applicazione di regole meno stringenti. Ok la concorrenza, è chiaro, perché serve anche a crescere, ma solo se si seguono norme omogenee».

E quindi? «Occorre un intervento politico, specialmente sulle politiche agricole dei Paesi mediterranei – continua Zambrini – Il limite dell’agricoltura è la divisione: a parte la Coldiretti, con Confagricoltura e Copagri siamo in linea. Ma bisogna rivedere le rappresentanze, perché così siamo deboli: ci deve essere un unico ufficio commerciale regionale. Ora sono 200! Siamo preoccupati perchè manca la volontà di fare fronte unico, ma vogliamo iniziare questo percorso, per fare massa critica».

All'incontro con la stampa c’erano anche il vicepresidente Daniele Nanni, la socia Alessandra Gentilini e Domenico Errani, produttore e consigliere comunale. «La nostra è una azienda a gestione familiare – spiega la Gentilini – e ogni giorno facciamo i conti, monitorando l’utilizzo della manodopera e cercando limitarla ove possibile, mettendoci del nostro. Ma concimi, antiparassitari ecc. costano, e con il passare del tempo si arriva all’estirpazione dei frutteti: il chè è assurdo, perché il prodotto è di qualità, grazie ai vincoli esistenti. Peccato che non venga valorizzato».