Cesi fa gola alla Cmc: il colosso ravennate si fa avanti

Grazie alla manifestazione d’interesse proroga di sei mesi della ‘cassa’

Delegazione  dei dipendenti Cesi durante un presidio di protesta

Delegazione dei dipendenti Cesi durante un presidio di protesta

Imola, 28 giugno 2015 - Si scrive manifestazione d’interesse, ma a Imola si legge speranza. La speranza che dopo un anno dal crac Cesi ci sia qualcuno nel settore edile con le spalle abbastanza larghe da essere realmente interessato a rilevare la coop di via Sabbatani. Tutta o in parte. Giovedì sera, infatti, la Cmc di Ravenna ha inviato ad Antonio Gaiani, commissario di Cesi in liquidazione coatta da luglio, una formale manifestazione d’interesse «all’azienda nel suo complesso o rami di essa». Una buona notizia dopo un anno di silenzio, ma che ne porta con sè un’altra: grazie a quella lettera dalla Romagna sarà possibile chiedere al ministero del Lavoro altri sei mesi di cassa integrazione straordinaria per tutti i dipendenti di Cesi rimasti a carico della procedura concorsuale: 253 rispetto ai 403 iniziali.

A presentare il colosso ravennate bastano i numeri: 1,1 miliardo di fatturato nel 2014, in crescita sul 2013 dell’8,8%, per commesse in cinque continenti, dall’Europa all’Asia, dall’Africa alle Americhe. E oltre 8.500 persone assunte nei cantieri di tutto il mondo. Il presidente di Cmc, Massimo Matteucci conferma la manifestazione d’interesse del colosso cooperativo per Cesi, ma rinvia alle prossime settimane la definizione del perimetro aziendale appetibile e la relativa quantificazione dell’offerta economica. La prudenza è d’obbligo, quindi, ma è innegabile che la presenza di Cmc cambia le carte in tavola. Mercoledì, infatti, al tavolo di crisi provinciale, i sindacati avevano sottoscritto un verbale di mancato accordo. All’ordine del giorno c’era il tema degli ammortizzatori sociali: dall’8 luglio 2014, giorno d’inizio della liquidazione coatta in Cesi, erano scattati infatti 12 mesi di cassa integrazione straordinaria per 385 lavoratori (i dirigenti non potevano usufruirne e furono subito licenziati dal commissario). Un anno di ‘paracadute’ che ha aiutato alcuni lavoratori a raggiungere la pensione, altri a sopravvivere mentre cercavano un altro impiego, ma purtroppo nella maggioranza dei casi ha continuato a essere la fonte di reddito principale.

Oggi, tra i licenziamenti volontari e i pensionamenti, in Cesi sono sono rimasti 253 dipendenti e al 7 luglio, senza la manifestazione d’interesse, sarebbero stati tutti licenziati. I più fortunati avrebbero usufruito dell’Aspi, la disoccupazione speciale edile, ma tutti gli altri sarebbero finiti dritti tra le fila dei disoccupati senza alcun sostegno al reddito. Il perché è contenuto tra le pieghe della legge 223/91 che prevede l’obbligo della prospettiva di continuazione o ripresa dell’attività affinché vengano concessi gli ammortizzatori. Insomma, la necessità di una manifestazione d’interesse. E quella di Cmc basterebbe a ‘strappare’ altri sei mesi di cassa al ministero del Lavoro.