Il crac della Cesi si abbatte su migliaia di famiglie

Viaggio nella città sotto choc. Udienza prefallimentare, tutto rinviato

La protesta dei lavoratori della Cesi (foto Isolapress)

La protesta dei lavoratori della Cesi (foto Isolapress)

Imola, 15 luglio 2014 - Pareva ieri. Il babbo si raccomandava con il figliolo: studia da ingegnere, che poi ti prendono alla Cesi, la coop delle case. Un po’ la mamma di tutti, qui a Imola, città di razza romagnola e storia a sé, Stalingrado che resiste come può, il rosso annacquato dalle larghe intese. Invece qualche giorno fa la città s’è svegliata con quello che nessuno s’aspettava: la Cesi è in liquidazione coatta. Debiti valutati: 375 milioni. Lavoratori che rischiano tutto: 403. Creditori in attesa: 1.125. Un baratro. Uno choc. Un disastro a cascata per migliaia di famiglie, almeno 6.000, dicono. Ora attorno alla sede di via Sabbatani, nella periferia della città, chi passa dà un occhio al picchetto e s’informa con apprensione: «Allora come va? Che peccato... Speriamo!».

In quattrocento hanno scoperto d’improvviso che la mamma era una matrigna, «siamo stati traditi — denunciano —. Ci hanno nascosto tutto». Preoccupazione, ansia, rabbia, solidarietà. Sono i sentimenti che s’intrecciano fuori dai cancelli, sotto le tende con una piccola tv, le provviste, le carte per un tiro di briscola, le bandiere del sindacato, i cartelli che interrogano «coattamente liquidati perché». Ecco, perché? Cristina, impiegata, non ha parole: «Vorremmo saperlo anche noi». Il collega Andrea: «Siamo arrivati a questo epilogo tragico senza informazioni». Un dirigente lo chiama «suicidio assistito, sì eutanasia. Inspiegabile». In tanti ripetono: «Si sono montati la testa, hanno fatto il passo più lungo della gamba», citando la stagione dei grandi centri commerciali. Un vecchio lavoratore cita i bilanci: «Si è passati in pochissimo tempo da un milione di attivo a quasi 400 milioni di debiti, com’è possibile? Vogliamo prendere un avvocato, vogliamo capire cos’è successo».

Al picchetto si vedono pochi ragazzi. I più hanno una lunghissima storia, qui dentro. L’età giusta per ricordarsi di uno spirito cooperativo che c’era eccome «e adesso dov’è? Giusto qui, al picchetto», sorride amara Cristina. Ma Domenico Olivieri, presidente di Legacoop Imola, è certo: «Nessuno mette in discussione questo. Io ho visto piuttosto una ribellione verso i dirigenti. Che la situazione fosse difficile si sapeva. Questa è una delle tante crisi. No, non del movimento cooperativo, del settore costruzioni». L’ha detto anche il sindaco pd Daniele Manca, in gara per fare il governatore della Regione. I lavoratori però incalzano: «No, questa è una crisi delle coop. Storia già vista. Vi ricordate Edilter, Edilcoop, Edilfornaciai?». Ora tutti si chiedono: che ne sarà dei tanti lavori in giro per l’Italia, dall’Expo alla cittadella sanitaria di Ancona alla stazione di Torino, roba per centinaia di milioni.

Eppure ieri mattina i capi cantiere sono andati a lavorare come sempre. Per orgoglio, con rabbia. «Mi hanno autorizzato alle 23.30 di venerdì sera — ha il magone un giovane geometra del Bolognese —. Siamo in associazione con altre imprese. Che figura era, sennò? L’ho fatto per la mia coscienza professionale. Perché ormai della mia azienda non so più niente. Non so neanche se li trovo al telefono. Oggi sono qui per la bandiera. E spero mi paghino lo stipendio». Al picchetto di Imola un operaio agita un sacchetto pieno di centesimi, «ecco la mia paga». Gli altri ridono. Si fa per sdrammatizzare.

A Ozzano, alle porte di Bologna, la Cesi costruisce appartamenti in due punti diversi, in via Nilde Iotti sono praticamente in fondo, manca giusto qualche finitura. Il capo cantiere, Mario Impallaria, che è anche socio cooperatore, è passato per mettere l’area in sicurezza, «poi andiamo a casa e aspettiamo. No che non possiamo lavorare in giro, i fornitori non ci portano la roba. Buio totale. Il commissario è stato nominato l’8 luglio, saranno due mesi tristi per noi. Perché siamo arrivati qui? Per l’incapacità dei dirigenti, la Cesi l’hanno rovinata loro. Il nostro futuro è affidato alla buona sorte. Non ci dicono niente. Aspettiamo. Speriamo».