Bologna, 24 febbraio 2013 - Imitatissimi, richiestissimi, twittatissimi. Sono gli uomini del momento. E sono chef. «Finalmente» commenta Bruno Barbieri, il più stellato in Italia (ma nell'Empireo è assieme a Gualtiero Marchesi), uno dei giudici uscenti della seconda edizione di Masterchef Italia. Il trio, completato dal collega Carlo Cracco e dal re dei ristoranti Joe Bastianich, ha strapazzato i concorrenti del talent show, ma ha inchiodato un paese intero alla tv risvegliandone la voglia di fornelli. Ma Barbieri è partito proprio da queste zone, da Medicina, da questa terra di sagre, di lavoro nei campi,«dove crescono quella buona cipolla, le verdure dell'orto». Sapori che restano dentro. E anche a Imola ci viene spesso: «Certo, ho qui il mio parrucchiere Cristiano».

Chef, ci tolga una curiosità: ma questo mapazzone lo usa sempre?

«Beh, a Bologna è un cult. E' il termine perfetto per indicare quando il piatto è troppo pieno. Poi a Masterchef si creano tormentoni: l'anno scorso era la besciamella».

Come si spiega il successo di questo programma?

«Perché dà la possibilità a tutti di provarci nella vita, di mettersi in gioco. Guardate la vincitrice Tiziana: la trasmissione le ha risvegliato un senso della cucina che aveva dentro di lei».

Per questo ha vinto?

«Vince chi mette il proprio io dentro il piatto. Ti devi raccontare senza pensare di essere davanti alle telecamere».

Comunque è stata una sorpresa, la haute cuisine sembra un mondo ancora molto maschile.

«Invece no. Al momento, dei primi dieci ristoranti italiani, almeno 4 o 5 sono gestiti da chef donne. Un tocco di femminilità nei piatti ci sta sempre bene, nelle mie brigate le voglio: mettono un pizzico di attenzione in più».

Ma la televisione fa bene all'alta cucina?

«Mi sono convinto di sì. La cucina è il nuovo vero made in Italy. Senza nulla togliere alla Ferrari o ad Armani, tutto quello che sta attorno a questo mondo è tangibile, è una cosa che tutti possono provare. E racconta storie».

Siete sempre così severi o era il vostro personaggio?

«Non siamo severi, solo responsabili di un progetto che parte da molto lontano. Ricordiamoci che ci sono in palio anche molti soldi».

Come fa un giovane a diventare chef fuori da Masterchef?

«Chef si nasce e non si diventa. Nelle tue vene deve scorrere il cibo. Devi sentire di avere del talento. Capisco se uno è bravo da come tocca gli ingredienti. Non bisogna avere paura di mettere le mani nel sedere della gallina».

Torniamo al territorio in cui è nato. Quali piatti della tradizione si porta con sé?

«La pasta. Le lasagne. I passatelli romagnoli, il maiale. Sono la felicità. E anche il mio Dna. Li rivisito sempre».

Quanto contano i ricordi per uno chef?

«Tanto. Io ho avuto la fortuna di crescere in una casa in cui la cucina era importantissima. Ricordo il profumo del pane nel forno a legna, l'uva pigiata con i piedi. I ragazzi ora giocano con l'I Pad, ma i sentimenti sono altrove".

Da un anno gestisce un ristorante a Londra, non ci pensa mai a riaprirne uno qui?

«Un ristorante in Italia ce l'ho nel cuore. Ora che vivo all'estero, mi rendo conto che come popolo siamo una spanna sopra. Penso alla norcineria, ai bei prodotti, ai campi. La nostra grande artigianalità. Sono il motore del paese».

All'estero li conoscono i sapori emiliano-romagnoli?

«C'è ancora molto da fare. A Londra, ad esempio, la cucina italiana è ancora spaghetti e pizza. Servono buoni ambasciatori».

Quindi lei dove vive?

«Ah non lo so, viaggio continuamente. Ma sono come i gatti, ho sette vite. Tra l'altro stiamo per ripartire con la terza edizione. Il 26 febbraio ricominciano i casting: aspettiamo 50mila aspiranti».

Ma in cucina ha tempo di andarci?

«Assolutamente. E sono uno di quegli chef che non ha paura di metterci le mani, nel sedere della gallina».

Un'ultima curiosità: voi a chef a casa vostra cucinate anche piatti normali? Un uovo fritto...

«Ma certo, e poi io mangio solo cibo italiano. Quando mi sento giù di morale io mi faccio un piatto di pasta. E vado dal parrucchiere».

 

Letizia Gamberini