Imola (Bologna), 15 aprile 2014 - "Ma che fate? Vi state sbagliando?" ha esclamato Massimo Remorini ai carabinieri — del comando di Imola e del nucleo operativo della compagnia di Viareggio — che ieri, poco prima delle 10, gli hanno notificato a casa l’ordinanza di custodia cautelare in carcere. Dietro l’interrogativo del 57enne titolare di un chiosco nella pineta di Levante, c’era probabilmente un mix di sorpresa e di angoscia. Sorpresa, perché l’arresto è stato improvviso e non anticipato da qualche voce, come invece era accaduto tre anni prima. E angoscia, perché per lui già dal pomeriggio si sono riaperte le porte del carcere di Lucca.

Quel San Giorgio, dove era finito nel febbraio 2011 per l’inchiesta sulla misteriosa scomparsa di Velia Claudia Carmazzi e Maddalena Semeraro, dal campo-alloggio di Torre del Lago (Viareggio) dove Remorini le aveva sistemate nell’estate del 2010. Va anche ricordato che dopo sei mesi, al termine del periodo di carcerazione preventiva, Remorini era tornato in libertà, in attesa dell’udienza preliminare e dell’eventuale rinvio a giudizio per la misteriosa scomparsa di madre e figlia. Che c’è stato: proprio venerdì scorso è infatti iniziato il processo in Corte di Assise, di fronte alla giuria popolare.

La Procura emiliana in questa nuova inchiesta addebita a Remorini di avere fatto parte del terzetto di banditi che il 17 febbraio ha compiuto una rapina a Imola, alla Banca di Romagna in via Orsini. L’inchiesta che ha portato all’arresto del commerciante viareggino ha visto impegnati polizia e carabinieri: gli inquirenti sarebbero arrivati a Remorini grazie ad intercettazioni telefoniche alle quali erano sottoposte due persone in Emilia, i suoi presunti complici. Si tratta di un siciliano trapiantato a Imola, il presunto organizzatore del colpo, e un giovane di Catania, salito a Imola proprio per prendere parte alla rapina. Remorini — per gli inquirenti — è un amico dei due e sarebbe stato coinvolto nel progetto dell’assalto alla banca.

Se il gip è arrivato a firmare la richiesta di custodia cautelare in carcere a carico dei tre, misura richiesta dal pubblico ministero, significa che ha in mano sufficienti indizi di colpevolezza. Proprio le intercettazioni avrebbero fornito a polizia e carabinieri la controprova di quel che avevano pensato fin dalle prime ore dopo la rapina. Vale a dire, che il colpo era stato pensato da qualcuno che abitava a Imola, con il supporto di "gente di fuori". Gli investigatori hanno probabilmente in mano anche altri elementi importanti con i quali hanno convinto il gip ad emettere il provvedimento. Delle tre persone colpite dall’ordinanza di custodia cautelare in carcere solo due sono state eseguite, la prima a Viareggio, la seconda a Imola. La terza, a Catania, è invece — stando ad indiscrezioni — andata a vuoto: la persona è comunque attivamente ricercata. Nel colpo alla Banca di Romagna il terzetto si era imposseessato di circa trentamila euro, dopo aver colpito con un pugno un cassiere.

Giovanni Lorenzini