Imola, 17 aprile 2014 - Pedala pedala, ha seminato fatica e raccolto emozioni lungo la Cordigliera delle Ande. Anno dopo anno, in tre viaggi attraverso Argentina e Cile, Perù e Bolivia. Ha iniziato dalla ‘fin del mundo’, Davide Baroncini, cinquant’anni suonati, sindacalista Cgil, tipo a modo suo che sa guidare solo la bici. Tre anni fa il racconto dell’avventura nel nulla della Patagonia: 2.600 chilometri di vento e libertà sulla Ruta 40 da Bariloche a Ushuaia, Terra del Fuoco. E adesso tocca agli altipiani fra il Perù e la Bolivia: 1.700 chilometri mai al di sotto dei 3.500 metri, nella puna andina abitata da lama e vigogne, guanachi, nandù e armadilli. Assordante solitudine per quattro ciclisti in fuga dal consueto: Baroncini con la divisa d’ordinanza (nera come la sua vecchia mountain bike) e tre compagni di Roma, Milano, Lecco.

Tutti hanno nel cuore il Salar de Uyuni, l’abbagliante deserto di sale che dilaga per 10.582 chilometri quadrati nel sud della Bolivia. Davide si stira sulla sedia, spettina lo spettinato cespuglio di capelli bianchi e sogna: «L’alba nel Salar è uno spettacolo unico; i colori rosati sono amplificati dalla distesa bianca e sembra che si alzino dal sale». Poi allarga le braccia: «Ti metti così e ti colori di rosa, ti senti attraversato dalla linea del sole. Se non si va nel Salar, non si riesce a capire fino in fondo cos’è il sorgere del sole». La magia dell’alba irrompe fra i cactus dell’Isola del Pescado, dove i quattro poeti del pedale hanno passato la notte in un dormitorio d’emergenza. E’ agosto, stagione secca, e le notti dell’inverno australe scendono in picchiata sotto lo zero.

Baroncini torna a sognare: «La particolarità di questo viaggio è pedalare nel Salar, non tanto sulle Ande. Il deserto di sale è un’autostrada bianca: chiudi gli occhi e vai, senza ostacoli e nel silenzio assoluto. Neppure gli uccelli volano da quelle parti». Ma l’acqua della stagione delle piogge non è completamente evaporata e i cicloviaggiatori arrancano nella poltiglia, insidiati dagli ‘ojos de salar’, gli ‘occhi’ che in realtà sono buchi e, nelle leggende Inca, inghiottivano le carovane.

I due giorni nel deserto — 185 chilometri di piste a un’andatura fra i 5 e i 7 chilometri orari nei tratti più duri — firmano un mese di viaggio iniziato in Perù. Da Cuzco al lago Titicaca, e avanti in Bolivia fino a La Paz. All’arrivo nella capitale, la prudenza ha vinto sui pedali: «Era notte e non abbiamo voluto rischiare, così abbiamo preso un pulmino e caricato le biciclette». Poi ancora a sud: il Salar, i villaggi di fango sempre più rari, la solitudine andina sempre più larga. E’ la gente dei villaggi che Davide cerca nei suoi viaggi: «Gente povera che vive senza luce e con l’acqua del pozzo, ma è felice di ospitarti. In un villaggio abbiamo dormito in una scuola (5 gradi sottozero) e cenato a casa del custode: zuppa e uova».

Fine pedalata in Argentina. A La Quiaca, dove inizia la Ruta 40 della nostalgia, il ciclista innamorato del Sud America ha una folgorazione: «Davanti al cartello che segnala 5.121 chilometri fino a Ushuaia, ho deciso di tornare per completare il percorso nord della Ruta, da La Quiaca a Bariloche». Fatto. Un altro viaggio, altri 2.200 chilometri, altra fatica. «Stavolta non per il vento, come in Patagonia, ma per l’altitudine», chiude Davide. E ha l’aria rilassata.

Lidia Golinelli