Imola (Bologna), 24 maggio 2014 - Aveva solo 13 anni quando una terribile caduta lo aveva privato della possibilità di camminare e di avere un futuro. Aveva solo 13 anni quando, il 13 marzo 2011, Gabriele Russo si spense in un letto del centro specializzato nel trattamento delle mielolesioni, a Montecatone. La ricerca dei perché di quella morte aveva dato origine a due distinte indagini, una della procura di Catania, dove avvenne l’incidente e l’altra della procura di Bologna, sui medici e gli operatori che avevano avuto in cura il piccolo Gabriele. A breve, il prossimo 15 luglio, in tribunale a Catania inizierà il processo per omicidio colposo a carico di Mario Di Benedetto, il giostraio che, secondo l’accusa, non avrebbe posto in essere tutte le precauzioni per impedire ai bambini di avvicinarsi ai gonfiabili allestiti in piazza Vicerè e tenuti sgonfi durante l’orario di inattività del parco giochi.

Nell’udienza preliminare del 28 gennaio, la famiglia Russo, assistita dall’avvocato Enrico Caliendo, si è costituita parte civile e ha avanzato una richiesta risarcitoria di oltre un milione di euro (280mila euro per ciascun genitore, 160mila per ognuno dei tre fratelli). Resta invece ancora aperta l’inchiesta sugli operatori di Montecatone, scaturita a seguito della denuncia dei familiari del ragazzino siciliano. L’incidente risale all’8 ottobre 2010, quando il ragazzino stava giocando insieme con altri bambini in piazza Vicerè, nel quartiere Barriera, a Catania.

Un gioco pericoloso, tra le giostre del parco divertimenti a quell’ora chiuso al pubblico. Gabriele cadde di schiena su una struttura gonfiabile che, però, non era ‘in tensione’ in quel momento. La procura di Catania ha ravvisato l’assenza di idonei cartelli e transenne che potessero avvisare i passanti del pericolo: da qui il rinvio a giudizio del giostraio. Dopo l’incidente, che paralizzò Gabriele dal collo in giù, scattò una cordata umanitaria che riuscì a sostenere anche le spese di volo per trasferire il piccolo a Imola. Mesi di ricovero trascorsi, secondo i familiari, conquistando anche piccoli miglioramenti e con la ventilata ipotesi di poter essere dimesso. Fino alla morte, improvvisa, nel 2011.

L’autopsia, svolta nell’ambito dell’inchiesta coordinata all’epoca dal pm Alessandra Serra, aveva chiarito che la causa della morte era «riconducibile a una sepsi che aveva interessato reni e polmoni», ricorda l’avvocato Caliendo. Quell’inchiesta però, che ha portato a indagare tutti coloro che avevano avuto a che fare con Gabriele, non risulta ancora chiusa. Il nodo da sciogliere è se l’infezione sia stata una complicanza della difficile patologia del ragazzino, imprevedibile, o se qualcosa possa essere accaduto durante il periodo di trattamento a Montecatone.

Cristina Degliesposti