Imola, molestie al centro sociale. Condannato a due anni e mezzo

I giudici accolgono la richiesta del pm Forte per fatti risalenti al 2015

Molestie sessuali, palpeggiamenti, carezze: foto generica

Molestie sessuali, palpeggiamenti, carezze: foto generica

Imola, 17 gennaio 2018 - "Comportamenti odiosi nei confronti di una minorenne che hanno lasciato senza parole anche persone che, come le forze dell’ordine, sono abituate per mestiere ad affrontare certe cose". Con queste parole il pm Marco Forte ieri in tribunale ha concluso la sua arringa, chiedendo poi la condanna a due anni e sei mesi per un trentenne imolese a processo per due episodi di molestie sessuali (che secondo il codice sono vere e proprie violenze sessuali, seppur nell’ipotesi ‘lieve’) e vari altri reati, dalle minacce al furto, fino al danneggiamento. Una tesi accolta dal collegio dei giudici, presieduto da Roberto Giovanni Mazza, che ha condannato il giovane a due anni e cinque mesi.

La vicenda, accaduta in un centro sociale di Imola, risale al settembre-ottobre 2015. Il trentenne (di cui non riveliamo l’identità per proteggere le vittime delle violenze) durante due distinte serate perde il controllo, forse anche per l’alcol bevuto, e abbraccia in modo troppo ‘espansivo’ una ragazzina di 16 anni, figlia del gestore del bar, e, nell’altro episodio, una donna più grande di lui. Le palpeggia sul seno e sul sedere, durante quegli abbracci che diventano asfissianti. In entrambe le occasioni, le vittime fanno capire subito che quelle attenzioni non sono gradite e, successivamente, presentano denuncia contro il giovane.

Ma non è finita. L’uomo era a processo anche per un altro fatto, risalente al novembre 2015. Quel giorno si presenta sempre allo stesso centro sociale, dove la madre lavora come addetta alle pulizie, e dà il via a una lite con il titolare che sfocia in un lancio di oggetti con tanto di schegge di vetro che finiscono in faccia al barista. Non pago, il cliente molesto ruba anche tre pacchetti di sigarette, sostenendo che sono una sorta di risarcimento perché la madre viene sfruttata.Ovviamente anche in questo caso scatta la denuncia.

Ieri in aula ha deposto la madre dell’imputato, difendendo a spada tratta il figlio e negando sia le violenze che il resto.

Ma i giudici non le hanno creduto. Oltre alla pena detentiva, hanno condannato il trentenne a pagare i danni al titolare del bar (tremila euro) e alla figlia (cinquemila), costituiti parti civili con l’avvocato Maddalena Introna. Il legale, associandosi alle richieste della Procura, ha definito la personalità del giovane «aggressiva e prevaricatrice».

Di tutt'altro tenore, ovviamente, l’arringa dell’avvocato difensore, Mauro Montuschi: «I fatti non possono essere considerati come la violenza sessuale prevista dal codice. Nei confronti della donna più grande ci fu un abbraccio ‘sentimentale’ a una persona con cui c’era un’amicizia speciale. Quella sera bevve forse qualche bicchiere di troppo e forse le mise anche le mani sul sedere, ma lo fece senza libido. I suoi gesti non erano per svilire la sua figura di donna. Quanto alla minorenne, il givane l’abbracciò a pochi metri dalla madre della ragazza e da una impiegata del bar. E le disse: ‘Se fossi più grande ti farei tante altre cose’. E’ perciò ovvio che anche lì non c’era libido».