Violenza sessuale su minore, vince ricorso e resta in Italia

L’uomo dopo la sentenza di primo grado ha fatto ricorso e ha vinto: la Questura gli aveva revocato il permesso di soggiorno ma adesso dovrà riesaminare il provvedimento

Un processo in un’aula di tribunale

Un processo in un’aula di tribunale

Imola, 10 marzo 2017 – È stato condannato in primo grado per violenza sessuale su minore. E per questo motivo la Questura di Bologna gli aveva revocato il permesso di soggiorno. Una giustificazione ritenuta non valida, però, dal destinatario del provvedimento, un uomo di origini sudamericane residente a Imola. Così, in attesa del processo penale d’appello, lo straniero si è rivolto al Tar dell’Emilia-Romagna. Il risultato? I giudici amministrativi gli hanno dato ragione. E adesso la Questura – a questo punto non solo quella di Bologna – dovrà tenere conto della sentenza per le proprie decisioni future. Il decreto con il quale viene revocato il permesso di soggiorno di lungo periodo al sudamericano è del 21 ottobre 2016 e arriva mesi dopo la condanna di quest’ultimo per il reato contro la libertà sessuale. L’uomo, assistito dall’avvocato imolese Alessandra Regoli, denuncia però la violazione del testo unico sull’immigrazione.

In pratica, come ricordano i giudici della prima sezione del Tar, contesta la legittimità del provvedimento in quanto la normativa in materia, risalente al 1998, «non consente alcun automatismo» tra condanna penale e revoca del permesso di soggiorno di lungo periodo. E anzi dispone che, «nel formulare il giudizio di pericolosità sociale nei confronti del soggetto che è titolare di carta di soggiorno a tempo indeterminato, l’Amministrazione tenga conto non solo delle condanne riportate dallo straniero – scrivono i giudici nel dispositivo –, ma di un complesso di elementi, quali la durata del soggiorno nel territorio nazionale e l’inserimento sociale, familiare e lavorativo».

L’uomo infatti, entrato regolarmente in Italia nel 2002, ha sempre lavorato fino al 2013, quando è stato licenziato in seguito al fallimento della ditta nella quale prestava servizio. Dopo un periodo di disoccupazione, in cui ha potuto mantenersi grazie al Tfr nonché all’aiuto dei propri figli adulti, a fine 2015 ha trovato un nuovo incarico di un anno in un’azienda del circondario. Ha anche un figlio piccolo, per il quale ha in corso una causa per ottenerne riconoscimento e l’affidamento. E a parte la sentenza di primo grado per il reato di cui sopra, nessun altro problema con la giustizia. In pratica, oltre al prevedere un «giudizio di pericolosità» a seguito del reato commesso (come previsto dalla norma), secondo il Tar in casi come questi bisogna fornire un valutazione relativa «non solo quanto condotte negative», ma anche «in relazione al suo comportamento complessivo durante la lunga permanenza sul territorio nazionale».

Il tutto, «con particolare riguardo all’inserimento lavorativo ed all’importanza dei vincoli familiari». E siccome «nessuna di queste valutazioni è presente nel provvedimento impugnato», la Questura dovrà «procedere al riesame della posizione» dello straniero «per verificare – concludono i giudici amministrativi – se vi siano le condizioni o meno per rinnovare la revoca tenendo conto di motivare sulla base di quanto affermato» dalla sentenza. «Per il momento siamo soddisfatti – commenta l’avvocato Regoli –. Restiamo in attesa della sentenza di appello per un reato per il quale il mio cliente si è sempre dichiarato innocente».