Dipendente infedele deve restituire oltre 420mila euro all’Inps

Condannato dalla Corte dei conti: per l’accusa ha incassato con altri complici pensioni di persone morte. A breve l'udienza preliminare del processo penale

Una sede dell'Inps

Una sede dell'Inps

Imola (Bologna), 1 aprile 2015 -  UNA prima sentenza sul ‘caso Ventura’ è già arrivata, dalla Corte dei conti che ha condannato l’ex dipendente Inps a restituire 423.349,66 euro. Una cifra ingente, comprensiva sia del danno patrimoniale subito dall’istituto previdenziale, sia del danno da disservizio patito e quantificato in un 10 per cento aggiuntivo rispetto ai 384.163,33 euro che la procura della Corte dei conti contesta ad Andrea Ventura.

Una cifra scritta nero su bianco nella sentenza dell’11 febbraio che si affianca a un procedimento penale (l’ipotesi è di associazione a delinquere finalizzata alla truffa informatica) che vede indagate cinque persone e che aspetta ora di approdare in udienza preliminare, chiuse ormai da mesi le indagini del pm Antonello Gustapane.

Nel procedimento della Corte dei conti, avviato nell’ottobre 2013 su citazione della procura regionale, sono confluite in larga parte le risultanze dell’indagine penale, ma non solo. Tra le contestazioni mosse dalla Corte a Ventura, 59enne imolese residente a Casola Valsenio, ci sono sì i 42 indebiti pagamenti di ratei pensionistici di defunti a persone diverse dagli eredi e che la procura individua nei quattro complici, ma anche alterazioni nel sistema informatico delle presenze causate dall’ex dipendente per ottenere più rimborsi e nell’aver retrodatato manualmente l’indennità di accompagnamento della suocera di due anni.

Tre tipologie distinte di illecito che hanno fatto lievitare il danno a oltre 400mila euro, ma contro le quali Ventura non ha mosso alcuna contestazione: nel procedimento della Corte dei conti, l’ex dipendente (prima sospeso, poi licenziato dall’Inps per giusta causa nel febbraio 2013) non si è nemmeno costituito.

 

SECONDO i giudici della Corte dei conti, gli anni alle dipendenze dell’Inps di Imola hanno consentito a Ventura di «analizzare non solo i meccanismi di controllo dell’ente previdenziale, ma anche le sue ‘smagliature’». Ossia quelle falle nella procedura che gli avrebbero permesso, tra il 2008 e il 2012, di dirottare su nove conti correnti – della moglie, del genero e di due amici (con provvigioni tra il 10 e il 30 per cento) – le somme residue da corrispondere agli eredi di anziani deceduti. Defunti che però nulla avevano a che spartire con i quattro effettivi beneficiari di quei soldi: era Ventura, infatti, a inserire i loro nomi in pratiche informatiche fasulle, ma che venivano poi elaborate in via informatica dall’Inps insieme a tutte le altre, automaticamente.

Sulla fondatezza della accuse, rileva la Corte, ci sono le «significative dichiarazioni confessorie» rese dai due amici di Ventura alla procura. A questo vanno aggiunti 4.203,90 euro di indebiti straordinari e recuperi orario che Ventura ha avuto alterando manualmente il suo cartellino presenze informatico.

Infine, nel fascicolo della Corte dei conti, è entrata anche l’assegno di accompagnamento per invalidità civile della suocera di Ventura. La donna, con regolare visita dell’Ausl, aveva ottenuto l’accompagnamento nell’ottobre 2002, ma da un controllo è emerso che Ventura aveva modificato la pratica della suocera, permettendole di retrodatare l’indennità all’ottobre 2000 e garantendole così un’extra gettito di 10.152,30 euro.

Contro la sentenza di condanna della Corte dei conti Ventura può opporsi, nei termini previsti. La Corte aveva già messo sotto sequestro conservativo diversi suoi beni: la casa di Casola, le auto e conti correnti. Gli stessi sui quali anche la procura di Bologna, nell’ambito penale, aveva posto il sequestro preventivo.

Sulla sentenza della Corte dei conti, il legale che assiste penalmente Ventura, Alberto Padovani, non rilascia commenti, ma ribadisce che «l’ipotesi associativa è già stata ritenuta insussistente dal giudice per le indagini preliminari e dal collegio del Riesame», quando la procura chiese il carcere per l’imolese e il gip lo negò concedendo i domiciliari.