Autopsia sulla bimba morta in corsia

Il verdetto del medico legale: "Decesso dovuto a un'ipossia acuta" di Cristina Degliesposti

Una sala operatoria (foto di repertorio)

Una sala operatoria (foto di repertorio)

Imola (Bologna), 17 luglio 2014 - La piccola è nata viva e respirava, senza alcuna malformazione apparente. Poi avrebbe accusato una forte sofferenza respiratoria che ne ha causato la morte per ipossia acuta. Cosa però l’abbia scatenata è ancora tutta da chiarire. E’ questo il verdetto dell’autopsia eseguita ieri pomeriggio su incarico della procura dall’anatomopatologa Sveva Borin sulla bambina morta poco dopo il parto, martedì mattina. Per la vicenda in pm Augusto Borghini aveva iscritto fin dal primo giorno sette camici bianchi nel registro degli indagati con l’ipotesi di omicidio colposo. Il ginecologo-chirurgo che ha eseguito il taglio cesareo.

Poi un medico anestesista-rianimatore, un pediatra, un ginecologo e tre ostetriche. Tutti quelli insomma che lunedì avevano avuto a che fare con la donna. Un’iscrizione cosiddetta tecnica la loro, per consentire la nomina dei propri periti e prendere così parte all’autopsia e all’esame degli organi, ora in formalina. Oltre alla ricerca di eventuali colpe, a Borin è affidato anche il compito di ricostruire l’andamento della gravidanza perché, a quanto acquisito fino ad ora dalla procura, la gestante non era mai stata seguita da nessuno pima della 36esima settimana. Il dramma della coppia — 24 anni lei, 37 lui, entrambi di origine albanese ma residenti a Imola — inizia lunedì mattina quando, intorno alle 8, entrano al Santa Maria della Scaletta per un controllo. Sono al primo figlio e la donna è già alla 41esima settimana più due giorni. 

Secondo la relazione stilata dal marito alla polizia, tutta ancora al vaglio del magistrato, la moglie viene subito sottoposta a tracciato e fatta un’ecografia. I medici accertano la perdita di liquido amniotico e la ricoverano. A mezzogiorno segue un nuovo tracciato di due ore e mezza al termine del quale sarebbe stato inserito alla donna un bendaggio propess per indurre il parto. Seguono altri tracciati, poi intorno alle 23,30 il marito si sarebbe accorto che le cose non andavano. Tolto il bendaggio, questo avrebbe rivelato la presenza di una sostanza verde che secondo i medici sarebbe stata meconio. A mezzanotte e mezza la donna entra in sala operatoria per il cesareo, iniziato un’ora dopo. In quell’ora i medici hanno proceduto all’anestesia totale e sarebbe stato riscontrato con i macchinari il battito fetale. La bimba era viva. Alle 3 di martedì, però, i medici escono dalla sala operatoria dicendo che la bambina non ce l’aveva fatta.

Secondo quanto è stato riferito al padre, la bimba aveva il cordone ombelicale intorno al collo. I medici, al genitori, avrebbero riferito di una supposta malformazione (esclusa a un primo esame dal consulente della procura) e gli avrebbero detto di voler fare in via amministrativa l’autopsia. Procedimento poi bloccato con l’apertura d’ufficio del fascicolo per omicidio in procura (la denuncia dei genitori deve ancora essere formalizzata). Già martedì il magistrato aveva fatto subito sequestrare le cartelle cliniche dell’ospedale, il bendaggio e la placenta. Impossibile per lui, però, acquisire anche la documentazione di riferimento della gravidanza che non esisterebbe, perché la donna non si era mai fatta sottoporre a visita prima della 36esima settimana. 

«E’ troppo presto per dire qualsiasi cosa sulla vicenda — commenta Filippo Grillo, legale dei coniugi —. Quello che è emerso però dal colloquio del magistrato è la piena volontà di tutti, medici in primis, di far tutto il possibile perché si arrivi a far piena luce sulla vicenda».

Cristina Degliesposti