Emergenza lavoro, il presidio davanti alla Cesi: "Vogliamo risposte"

I dipendenti davanti all’azienda di Cristina Degliesposti

La protesta dei lavoratori della Cesi

La protesta dei lavoratori della Cesi

Imola, 10 luglio 2014 - «DITECI di che morte dobbiamo morire». E’ un grido, uno dei tanti quello lanciato ieri mattina da un dipendente Cesi, ai cancelli dell’azienda in via Sabbatani. Sventolavano le bandiere colorate dei sindacati, Cgil, Cisl e Uil tutte rappresentate, ma i volti dei dipendenti – un’ottantina nel picco massimo – avevano altre tinte.

Volti lividi, alcuni senza alcuna fiducia in quel presidio sindacale partito ieri mattina e in programma anche oggi ma accomunati da un unico sentire: «Non possiamo fallire senza aver fatto nemmeno un picchetto». Erano là per far sentire la loro presenza, anche quella di chi dei 405 dipendenti ha scelto di non partecipare. Presenze che si portano dietro intere famiglie, sogni e prospettive, e che chiedono ‘solo’ di avere risposte dall’azienda. Un’impresa che, nell’ultimo controllo dell’ente di vigilanza preposto dal Ministero, avrebbe messo in mostra tutta la sua insolvenza. Una mancanza di liquidità non così grave nel 2013, ma che quest’anno, sul tavolo del Ministro Guidi, potrebbe far cambiare lo scenario per il futuro. L’ipotesi peggiore, secondo la norma, è quella della liquidazione coatta ma i vertici di Cesi si starebbero adoperando per sventarla in tutte le maniere.

«Dal 2012, come consiglio di fabbrica, proponevamo contratti di solidarietà, per risparmiare – racconta una rsu -. Ma l’azienda ci rispondeva che preferiva preservare il lavoro di tutti. Così, pur di mantenere il lavoro, abbiamo preso anche cantieri in rimessa». «Non ci dicono nulla, mai – dice un’altra lavoratrice —. Fino a febbraio sembrava che andasse tutto bene poi, in sei mesi, rischiamo anche di chiudere».

Lunedì, in tribunale a Bologna, si terrà un’udienza prefallimentare per una fattura da 200mila euro non saldata a un creditore. Uno dei 1.125 stimati dall’azienda (375 milioni il debito complessivo) e ieri pomeriggio, nell’incontro con i sindacati di categoria, l’azienda avrebbe spiegato di non aver ricevuto nemmeno un decreto ingiuntivo da quel soggetto, andato direttamente per vie legali. Temono i lavoratori, molti anche per le loro quote sociali. «In media abbiamo circa 30mila euro a testa, ma dipende dalle situazioni», spiega un dipendente. I soci lavoratori sono circa 300 su 405, per un valore complessivo di 9 milioni di euro di fondo sociale. «Ieri (martedì, ndr) ci hanno pagato lo stipendio e la 14ª – spiegano -, in anticipo rispetto al solito. Ma il bonifico non arriva da Cesi. Ci ha liquidati Federcoop Ravenna». Da qualche tempo alle telefonate dei fornitori non rispondono più i dipendenti, ma alcuni consiglieri. «La cosa difficile da gestire non erano gli insulti, che comprendevamo – dice un ragazzo —. Erano le lacrime dall’altra parte del filo». Oggi, con il presidio in corso, alle 15 i sindacati di categoria incontra l’azienda per parlare di ammortizzatori sociali, ma è stata chiesta anche l’attivazione di un tavolo regionale.

Cristina Degliesposti