Fabio Curto presenta il nuovo brano ‘Via da qua’

Il vincitore di The Voice of Italy 2015 sarà ospite della rassegna ‘Mi senti indie: la nuova generazione dei cantautori’ Appuntamento alle 21 in Piazza Medaglie d’oro

Fanio Curto sarà in concerto il 4 giugno a Imola in Musica, ospite della rassegna ‘Mi sento indie: la nuova generazione dei cantautori’

Fanio Curto sarà in concerto il 4 giugno a Imola in Musica, ospite della rassegna ‘Mi sento indie: la nuova generazione dei cantautori’

Imola, 4 giugno 2017 - Se il cantautorato  ha spesso rappresentato una zavorra per il pop-folk-rock italiano _ per l’enfasi dei testi mentre la musica tira la catena _ Fabio Curto è di quei menestrelli che hanno gettato il cuore oltre l’ostacolo per scoprirlo capace di battiti sempre più stratificati, peculiari, coraggiosi, vivi. Chiamatelo, se volete (lui vuole) “incantautore”. Una bacheca stracolma di riconoscimenti, eppure conosciuto dal grande pubblico soprattutto per aver vinto il talent The Voice of Italy 2015, domenica 4 giugno sarà l’ospite prezioso della rassegna “Mi sento indie: la nuova generazione dei cantautori” nel contesto di “Imola in Musica (Piazza Medaglie d’Oro, ore 22). Occasione per presentare in versione acustica il nuovo brano “Via da qua”, disponibile in digital download. Ne viene fuori la dolente/gaia geografia interiore dell’artista di Acri adottato da Bologna. Tappa successiva del tour giovedì a Granarolo dell’Emilia  sul palco della Fucina209 (via San Donato 209).

Fabio, “Via da qua” per andare dove?

«C’è stato un momento della vita in cui ho avvertito sensazioni claustrofobiche, con il desiderio di andare verso luoghi e giorni migliori. Via da una camera d’ albergo per recuperare qualche valore nobile, tener viva la speranza e il rispetto per ogni debolezza, che è un tesoro. Sentimenti che portano una carica enorme che sigillo in Via da qua, brano che vive di sonorità pop folk eseguite su tammorra e bouzouki irlandese, di cui ha fatto gran uso De André».

E’ un vissuto striato di imprevisti, che va avanti a colpi di scena, il suo.

«Beh, lo è. Ho cominciato a scrivere musica a dodici anni e poi ho imparato a suonare il violino, ma soprattutto chitarra acustica ed elettrica, basso, armonica a bocca, percussioni e viola. In più ho fondato band dal taglio (dicono) mai scontato, come L’Etandonné, genere rock italiano, e La Van Guardia, quintetto acustico che sposa lo swing, la rumba e la tradizione Gipsy dei Balcani. Avevo vinto un contratto con l’Universal con un televoto del 67 per cento e questi signori non hanno investito su un album».

Fabio, scelga dieci parole per definire la sua storia.

 «Ardua, passionale, a volte grottesca, disperata, rocambolesca, incredibile, fortunata, consapevole, anticonformista. Coraggiosa».

Perché un addottorato cum laude in Scienze politiche a un certo punto decide di intraprendere l’arte di strada? Per certe zone d’Italia non serviva più un innovativo criminologo che un pur fervido storyteller?

«Credo che siano stati proprio i miei studi classici a farmi capire che il mio futuro dovesse essere di felicità individuale. La musica può cambiare la vita di una persona, come la letteratura, senza però che possa aver ragione delle mafie e del mondo. Può essere la colonna sonora di una trasformazione positiva, ma saranno le persone unite nel miglioramento a poter lottare per questo obiettivo. Semmai, su questo si può scrivere una canzone».

 Il live acustico è il format giusto per penetrare l’animo plastificato di una generazione super digitalizzata?

«Sì che lo è, ha un impatto che non può essere ignorato, a differenza di un prodotto masterizzato e compresso. Si pone all’attenzione delle persone, è costruito per penetrare l’intimità degli ascoltatori. Deve accomunare la fragilità di noi musicisti compositori con quella delle persone con cui si entra in contatto. Il mio professore di filosofia abbassava il tono della voce invece di alzarlo».

Sono sempre attuali le sue tentazioni gipsy pop?

«Sono sempre tantissime le mie tentazioni musicali. E’ il mio problema principale, perché finisco di lavorare su un pezzo folk americano e inizio a comporre un brano gipsy. Forse è scattato il momento di mantenere una linea editoriale per un percorso da solista non troppo dispersivo».

Un ricordo del vanguardismo che mandò in visibilio un’antica piazza di Monaco?

«L’effetto sorpresa, eravamo capaci di scioccare un ambiente circostante in un secondo, arrivavamo in qualsiasi posto d’ Europa con in spalla strumenti acustici e in pochi attimi la gente rimaneva scioccata. Una sensazione che proprio mi manca. Come in un film di Kusturica, leggere sul loro volto lo stupore era qualcosa di incredibile».

Qual era l’angolo preferito per i concertini on the road di Bologna?

«Il mio era al mattino via Zamboni, dove passava poca gente e quindi era un pubblico selezionato. Angolo che disputavamo a un fisarmonicista rom simpaticissimo. L’altro in via Rizzoli, al calar del sole, quando la gente non aveva voglia di scappare».

Il concerto del Duse?

«E’ stata la nostra prima esperienza teatrale con la Van Guardia. Non ci conoscevamo, anche lì un effetto sorpresa pazzesco. Il clarinettista arrivò talmente in ritardo che salì direttamente sul palco, sudato, all’ingresso del clarinetto della canzone».

A quando il disco?

«Penso che ne parleremo per il 2018, fissando un limite di tre o quattro pezzi. A Via da qua seguirà un secondo singolo».

Idee a breve gittata?

«Non escludo di affrontare una campagna di crowdfunding, coinvolgendo la gente. Penso sia giusto tenere la musica più vicina possibile ai fan».