Violenze al marito: chiesta condanna

«Insulti e umiliazioni». Il pm: «Due anni e mezzo alla moglie»

Un'aula di tribunale (Foto di repertorio Cusa)

Un'aula di tribunale (Foto di repertorio Cusa)

Imola (Bologna), 25 febbraio 2015 - Due anni e mezzo. Tanto, lunedì, ha chiesto il pubblico ministero come condanna ai danni di un coniuge accusato di maltrattamenti in famiglia aggravati. Ma la storia, stavolta, è diversa: alla sbarra, come imputata, c’è la moglie. Il marito, affetto da problemi fisici e psichici, sarebbe invece la vittima. Una storia questa dove umiliazioni e insulti si intreccerebbero con violenze fisiche, tanto da arrivare a negare i pasti all’uomo che oggi ha ottenuto la separazione non definitiva dalla consorte. Lui 65enne, lei 53enne sposati dal lontano 1983 e fino a qualche tempo fa coniugi felici con un figlio in un paese del circondario. A innescare le indagini dei carabinieri, partite nel luglio 2013, è stata la denuncia del marito e del figlio. Quest’ultimo, dopo essere tornato a vivere con la compagna in un appartamento adiacente a quello dei genitori, si sarebbe accorto delle presunte angherie e violenze che la madre riservava al padre.

NELLA denuncia e poi nelle indagini dei carabinieri coordinate dal pubblico ministero Simone Purgato emergono violenze di ogni tipo, commesse tra il 2010 e ottobre 2013: dai pasti negati al fatto che la donna incontrava il suo amante in un locale vicino a casa, frequentandolo pubblicamente. Poi gli insulti, a decine, spesso prendendo di mira la sua disabilità fisica e psichica e aggressioni: schiaffi, calci, morsi, aggressioni con la scopa e con la minaccia di buttarlo giù dalle scale. Fin qui le risultanze delle indagini della procura, sfociate nel dicembre 2013 nel decreto di giudizio immediato. A ottobre 2013, tra l’altro, il tribunale dispone l’allontanamento dalla casa di famiglia della donna, imputata e assistita dall’avvocato Paola Bravi. Il marito e il figlio, invece, costituiti parte civile nel processo, sono assistiti dal legale Marco Minoccari. Esaminati i testi nel corso del processo, lunedì il pubblico ministero ha chiesto la condanna a due anni e mezzo della donna. La sentenza è attesa per fine marzo.

«Questo processo si basa tutto su quanto dichiarato in denuncia dal marito e dal figlio – evidenzia Bravi –. L’istruttoria ha sconfessato le accuse sotto ogni aspetto. Lo psichiatra che ha in cura il marito nega di aver mai colto segni di maltrattamento o malnutrizione. Tra l’altro non ci sono referti che certifichino lesioni e il figlio fece ben due viaggi, lasciando il padre alle cure della madre». In questa «ricostruzione fumosa» un elemento, secondo la difesa, avrebbe giocato un ruolo determinante: «Quando il figlio andò a vivere in un appartamento dei genitori, nel 2010, era stata pattuita la vendita a 94mila euro – spiega –. L’assegno però non fu mai incassato e a un certo punto il figlio sostenne che si trattava di un regalo che i genitori gli avevano fatto. Poco dopo un litigio con la madre proprio per il pagamento, è stata fatta denuncia per maltrattamenti».