Jobs Act, gelo governo-sindacati. Meno soldi per chi è licenziato

Duello a Palazzo Chigi. Poletti non tratta. Cgil e Uil: "Lotte crescenti"

Il tavolo tra Giuliano Poletti e le parti sociali (Ansa)

Il tavolo tra Giuliano Poletti e le parti sociali (Ansa)

Ettore Maria Colombo

ROMA, 20 dicembre 2014 - IL GOVERNO mantiene la promessa di convocare i sindacati sul Jobs Act, ma è subito polemica.

I primi due decreti attuativi verranno varati nel Consiglio dei ministri del 24 dicembre: il primo sul contratto a tutele crescenti, il secondo sull’Aspi (l’ex indennità di disoccupazione). Ma il confronto di ieri con i sindacati si fa subito scontro duro, totale e anche con toni irridenti da entrambi i lati del tavolo. «Promettiamo lotte crescenti» assicurano in coro Susanna Camusso (Cgil) e Carmelo Barbagallo (Uil) che lamentano la vaghezza sui decreti attuativi, illustrati per grandi linee.

Del resto, il ministro del Lavoro Poletti non è stato da meno: «Sono qui per ascoltarvi, ma non per trattare», ha detto a inizio riunione. Apriti cielo. «Non c’è un testo perché non è stato completato – ha ammesso Poletti – c’è ancora una discussione politica da fare».

Ma non sono solo le informazioni col contagocce fornite dal governo alle parti sociali a irrigidire i sindacati. Cgil, Uil e l’Ugl sparano a zero, più morbida la posizione della Cisl e di Confindustria che parla di «primo passo positivo» e sospende il giudizio. «Vi promettiamo lotte crescenti», sintetizza con i suoi toni ormai noti per essere molto coloriti il neo leader Uil Barbagallo. Camusso bolla il tutto come «una proposta di contratto a monetizzazione crescente con cui si passa da una tutela reale dei lavoratori alla monetizzazione della tutela».

Ricostruendo un Jobs Act ancora molto in itinere («per tutti i decreti ci vorranno sei mesi», specifica Poletti), in merito al contratto a tutele crescenti, il governo sembra orientato a circoscrivere il reintegro di lavoratori illegittimamente licenziati per motivi disciplinari solo in caso di «fatto materiale insussistente», fatto che però dovrebbe essere dimostrato dal lavoratore.

SEMPRE in caso di licenziamento illegittimo, sarà anche possibile accedere a una sorta di ‘conciliazione espressa’ che dovrebbe prevedere una maggiore indennità al lavoratore (si parla di 18 mensilità) e la possibilità per l’azienda di scaricarne una parte fiscalmente. Per quanto riguarda il licenziamento economico, che non prevederà più alcun diritto al reintegro, il governo sembrerebbe orientato a inserire, in caso di licenziamento illegittimo, un’indennità al lavoratore maggiore solo per il primo anno di contratto (si parla di 3-6 mensilità rispetto alle 12 previste dalla legge Fornero che poi tornerebbero a 1,5 nel secondo e terzo anno). Una riduzione dell’indennizzo che preoccupa non poco la Cgil.

Sotto la lente del governo anche i licenziamenti collettivi, tema delicato, da valutare però solo se all’interno della delega mentre nessun accenno è stato fatto sullo ‘scarso rendimento’ come giusta causa di licenziamento economico.

Per quanto riguarda l’Aspi tre le novità: salta la disparità con la mini-Aspi, cancellata, aumenta la durata dai 12-18 mesi di prima fino a 24 mesi, e aumenta anche la generosità dell’assegno ma proporzionata all’anzianità e alla storia contributiva del lavoratore che accederà a un’Aspi tutta nuova.