Venerdì 19 Aprile 2024

L'inciviltà degli adulti

Silvio Danese

NELLA GIORNATA della straziante immagine del “nostro” bimbo in maglietta rossa disperso sul litorale turco, ieri la Mostra ha pianto e rilanciato la denuncia dell’inciviltà violenta degli adulti. Con due film. La cosa curiosa è che la coppia, “Spotlight” (fuori concorso) di Tom McCarthy sui preti pedofili e le vittime infanti e adolescenti, e “Beasts of No Nation” (in concorso) di Cary Fukunaga sui guerriglieri bambini in Africa, è anche una lezione di cinema, anzi di lealtà estetica nei confronti di un tema, lealtà che diventa posizione etica del narrare storie. Il primo nel verso positivo, il secondo nel verso negativo. Come racconto la distruzione di un’identità in formazione, nei passaggi più brutali, nelle conseguenze più dolorose, nelle responsabilità di individui e istituzioni, la Chiesa e l’esercito, l’informazione e la tutela, ciascuno nei suoi contesti lontani, dove ricchezza e povertà, istruzione e ignoranza finiscono per produrre le stesse perversioni sull’infanzia?

Ricostruendo le fasi dell’avventurosa inchiesta dell’agguerrita redazione Spotlight del Globe, che nei primi 2000 raccolse non solo le prove della delittuosa complicità dell’arcivescovo Law, ma innestò anche la scoperta del sistema di omertà e dell’estensione mondiale del fenomeno vincendo il Pulitzer, McCarthy scava nelle ferite umane evitando la trivellatrice.

 

PER PIÙ DI 2 ore nel film si muovono solo adulti, giornalisti, avvocati, vittime, giudici, anche nei racconti più diretti e sconcertanti, ma è una giostra per i fantasmi, i bambini. Gli unici 2 del film, li vediamo nello studio del legale difensore nell’ultima sensata immagine. Fukunaga, invece, euforico fuori dalle strette regole della sua celebrata serie tv (“True detective”), fa del piccolo Agu, che spezza il cranio di un soldato col machete e difende il suo comandante, plagiato nella violenza e nel sesso, uno strepito di verità, a cui una colonna sonora sbagliata infligge giudizio a ogni istante.

Bisogna dare almeno un’ora per capire e apprezzare, nella seconda parte, l’altro film in concorso, l’australiano “Looking for Grace” di Sue Brooks, che ricostruisce, nei diversi punti di vista non privi di ironie e paradossi di anaffettività familiare, ricordando Todd Solondz, la fuga dell’adolescente Grace, la ricerca tra le ambasce di due nevrotici genitori con un saggio investigatore e la ricomposizione con sacrificio. Da segnare per l’uscita italiana.