Macerata, 31 agosto 2010 - "La Festa del Patrono della nostra Città è sempre un momento toccante e importante per la vita sociale e religiosa della comunità maceratese. Il ricordo di San Giuliano, a cui è riconosciuto il carisma dell’ospitalità, mi offre l’occasione per porgere il più cordiale saluto a tutti coloro che partecipano a questa Solenne Celebrazione Eucaristica, a tutto il popolo santo di Dio che vive in Macerata, ai sacerdoti concelebranti, ai diaconi e, in particolare, trattandosi della celebrazione in onore del patrono della Città, alle autorità civili e militari presenti. Saluto cordialmente il Sindaco di Macerata Romano Carancini che offrirà il cero al nostro Patrono e ringrazio per la presenza anche la delegazione della città gemellata di Weiden. Un saluto anche a tutti coloro che ci seguono attraverso il collegamento radiofonico curato da Radio Nuova InBlu.

 

Come è ormai consuetudine, da quando ho assunto la guida pastorale della Diocesi, in questa circostanza sono solito sviluppare una particolare riflessione legata alla vita sociale, culturale e religiosa della nostra Città. A San Giuliano, del quale nel 1442 fu miracolosamente ritrovato il braccio, ci rivolgiamo umilmente anche per avere luce e conforto nel cammino della nostra comunità cittadina. La figura del nostro Santo Patrono, seppur avvolta nella leggenda, è certamente affascinante e quanto mai attuale. Secondo la tradizione, il cavaliere belga, dopo la nota vicenda della involontaria uccisione dei genitori, ha attraversato l’Europa approdando infine nella nostra terra per essere testimone evangelico di assistenza ai poveri e di ospitalità verso i pellegrini e i viandanti. Un viaggiatore, diventato santo per la sua capacità di dialogo e di accoglienza, soprattutto verso i poveri e i pellegrini, cercatori di Dio.

 

Certamente questo profilo di San Giuliano non deve essere sfuggito al giovane Matteo Ricci e non è difficile immaginare che taluni tratti del suo spirito intraprendente di viaggiatore e di testimone del vangelo presso il popolo cinese, così lontano e diverso, li abbia assunti proprio dal Santo Patrono. Possiamo vedere nel gesuita maceratese un prolungamento e una singolare attuazione del carisma di San Giuliano. Dalla prima lettura tratta dal Libro del Siracide abbiamo ascoltato questo invito: “Considerate le generazioni passate e riflettete: chi ha confidato nel Signore ed è rimasto deluso?” (Sir 2, 10).

 

In questo anno di celebrazioni per il IV Centenario della morte vorrei pertanto cogliere e proporre alla Città, nella ricorrenza delle feste patronali, alcuni aspetti della vita e del messaggio di P. Matteo Ricci. L’eredità spirituale e culturale del nostro illustre concittadino, ammirato in tutto il mondo e profondamente amato dai cinesi, costituisce certamente un dono preziosissimo di cui andare orgogliosi, ma anche un impegnativo compito da assumere per onorarne la memoria. Le numerose e qualificate iniziative poste in essere in questo anno a livello locale, nazionale e internazionale, attraverso cui abbiamo potuto riscoprire e approfondire alcuni aspetti della vita e dell’opera di questo gigante della fede, della scienza e della cultura hanno portato Macerata all’attenzione del mondo intero.

 

Ora tutti si attendono che questi riflettori accesi su P. Matteo Ricci e sulla nostra Città non si spengano. È questa la grande sfida che ci attende e che interpella tutti e ciascuno: comunità ecclesiale, amministrazione comunale e provinciale, governo regionale e nazionale, università, organismi sociali e culturali. Il genio di P. Matteo Ricci, faro splendido e folgorante, che ha illuminato la storia dell’umanità all’inizio dell’epoca moderna, può e deve continuare ad essere una luce per affrontare le grandi sfide dell’oggi, per molti versi non dissimili da quelle da lui affrontate quattro secoli fa. Mi soffermo su quattro aspetti che possono costituire i punti cardinali di un impegno comune e condiviso per far sì che Macerata sia nel suo cuore e nella sua identità, e non solo anagraficamente, la città di P. Matteo Ricci.

 

1. Un primo fattore che non finisce mai di stupire è la straordinaria sintesi tra religione e scienza, fede e cultura che P. Matteo Ricci ha saputo realizzare e proporre nella sua vita e nei suoi scritti, senza alcuna commistione impropria e senza alcuna sterile contrapposizione. Nella sua singolare impresa non c’è alcuna etorogenesi dei fini perché ha perseguito l’unico ed essenziale fine della sua vita, e cioè “dare maggior gloria a Dio” percorrendo tutte le strade della ragione, della scienza, della cultura e della fede, in una sintesi mirabile che può e deve essere paradigma anche per il cammino della nostra Città.

 

È quanto rimarcava anche il Santo Padre nelle parole che ci ha rivolto in occasione dell’Udienza speciale concessa il 29 maggio scorso: “è proprio mentre porta il Vangelo, che P. Ricci trova nei suoi interlocutori la domanda di un confronto più ampio, così che l’incontro motivato dalla fede, diventa anche dialogo fra culture; un dialogo disinteressato, libero da mire di potere economico o politico, vissuto nell’amicizia […] Nel pensiero e nell’insegnamento di P. Ricci scienza, ragione e fede trovano una naturale sintesi: «Chi conosce il cielo e la terra - scrive nella prefazione alla terza edizione del mappamondo - può provare che Colui che governa il cielo e la terra è assolutamente buono, assolutamente grande e assolutamente uno. Gli ignoranti rigettano il Cielo, ma la scienza che non risale all’Imperatore del Cielo come alla prima causa, non è per niente scienza»”.

 

Sulla scorta di questo grande insegnamento sarebbe davvero auspicabile che Macerata, grazie alla collaborazione tra Diocesi, Università, Comune, Enti artistici e Istituzioni culturali, come avvenuto quest’anno in occasione di convegni, mostre e altre iniziative, diventi un laboratorio per affrontare i grandi temi della vita e del futuro dell’umanità coniugando sempre scienza, ragione e fede. Tra le espressioni più significative in questa direzione vorrei menzionare in modo particolare la stagione dello Sferisterio Opera Festival che in onore di Ricci, sul tema “A maggior Gloria di Dio” ha saputo offrire in questa estate un programma di altissimo profilo artistico e di grande suggestione spirituale. Attraverso il gusto della bellezza e la ricerca della verità le opere proposte hanno riscaldato il cuore e illuminato la mente.

 

2. Un secondo aspetto su cui siamo chiamati a riflettere e lavorare, di cui P. Matteo Ricci è un grande e insuperato maestro, è il dialogo fecondo tra civiltà e culture. Il “metodo di inculturazione” adottato da P. Matteo Ricci ha rivoluzionato non solo la prassi missionaria della Chiesa ma la stessa storia dell’incontro tra popoli segnata da colonialismi opprimenti e spesso distruttivi dell’identità e della storia locale. P. Matteo Ricci scrive continuamente ai suoi superiori e agli amici che si trova di fronte ad un popolo che ha una grande storia, una formidabile cultura, una impressionante ricchezza di tradizioni, di retroterra filosofico, di sensibilità spirituale, di organizzazione statale: ai suoi occhi la Cina ha ben poco da invidiare all’Occidente.

 

È su questa base di grande rispetto e di sincera ammirazione, compie una delle più grandi imprese della storia dell’umanità: pone le condizioni per un fecondo scambio tra l’Oriente e l’Occidente, tra la Cina e l’Europa. Tutto questo insegna molto, soprattutto a noi oggi, perché P. Matteo Ricci è un antesignano della globalizzazione, intesa non come concorrenza per il primato, ma come occasione di scambio e di reciproco arricchimento. Dopo quattro secoli questa sfida appare ancor più attuale, soprattutto di fronte ai segni di un certo declino dell’Occidente mentre emergono sempre più le potenzialità economiche, culturali e sociali dell’Oriente. Davanti a questo nuovo scenario l’insegnamento di P. Matteo Ricci sprona tutti noi ad essere concreti continuatori della sua opera. Sulle sue orme dovremmo fare di Macerata un luogo esemplare dello scambio tra l’Europa e la Cina.

 

Alcune iniziative sono state già avviate, ma molto di più si può fare in ambito scolastico, commerciale, culturale, artistico e religioso. Occorre superare una certa approssimazione e quel senso di superiorità che a volte ci accompagna quando pensiamo alla Cina e ai cinesi. Un simile atteggiamento scompare quando si visita la Cina, come abbiamo sperimentato nel pellegrinaggio fatto in luglio con duecento maceratesi sulla tomba di P. Matteo Ricci. Occorre confrontarsi seriamente con la dignità di questo grande popolo, con il suo patrimonio culturale, con il suo vorticoso sviluppo economico. L’Europa e la Cina possono fare molta strada insieme e hanno bisogno l’una dell’altra, ma serve quello stile di dialogo e di costruttivo scambio che il gesuita maceratese ha saputo realizzare con impressionante efficacia. In questa prospettiva la Diocesi, oltre a proseguire, nelle forme che saranno possibili, le giornate dell’amicizia con i cinesi che sono in Italia, ospiterà alcuni sacerdoti cinesi, studiosi di teologia e filosofia, che costituiranno a Macerata un centro di coordinamento per gli studenti cinesi che si stanno formando nelle università europee.

 

3. In terzo luogo, non renderemmo adeguata giustizia alla figura di P. Matteo Ricci se non ponessimo in evidenza la sua spiccata sensibilità caritativa, un aspetto spesso dimenticato o poco sottolineato. Portando con sé quel senso di onestà e di solidarietà che contrassegna il carattere della gente marchigiana e facendo suo il carisma del nostro santo patrono San Giuliano, che è, non dimentichiamolo, un santo della carità, P. Matteo Ricci è stato anche un amante e difensore della giustizia e un testimone operoso della carità verso i poveri secondo l’insegnamento evangelico divenuto per lui ragione di vita. Fin dai primissimi anni della sua missione in Oriente prende posizione a difesa degli indigeni che non venivano ammessi agli studi superiori. Ne è testimone una dura e ardita lettera inviata da Goa al Superiore Generale P. Claudio Acquaviva S.I., il 25 novembre 1581 sulla discriminazione che si stava attuando nei confronti degli studenti locali.

 

Tra le altre cose scrive “vi è il costume universale di tutta la Compagnia di non accipere personas, et anco nell'India di tanti padri vecchi, santi e di sperientia, che sempre aprirno le scuole e favorirno tutti quei che ci vennero”. Molto stupore susciterà in Cina il perdono invocato da P. Matteo Ricci e dai suoi confratelli nei confronti degli imputati condannati dopo alcuni processi per violenze e calunnie subite dai padri gesuiti. Pur in presenza di una sensibilità morale molto elevata il perdono non costituiva una categoria contemplata nella visione filosofica e religiosa dei cinesi. La benevolenza dei Padri colpì molto i cinesi e divenne una delle vie maestre per la conversione al cristianesimo.

 

Ma ciò che impressionò il popolo cinese fu la carità dei Padri: Scrive al p. Ludovico Maselli S.I. da Zhaoqing il 29 ottobre 1586: “Quest'anno anco crebbe il fiume di questa città, tanto che entrò per tutte le case et allagò tutti campi bottando case per terra e facendo molto male. Onde molti poveri si raccolsero in nostra casa a cominciorno a provare alcun saggio della charità Christiana, cosa che loro non speravano. Di quel puoco che avevamo di poi anco gli dessimo limosine per rifare le case cadute a loro et agli altri christiani poveri, di che restò tutta la città molto edificata”. Non minor impatto registrò la cura prestata ai malati in occasione di un’epidemia. Scrive al Preposito Generale il 26 luglio del 1605: “Quest'anno fu in questa città una malattia, spetie di peste per esser contagiosa, con che avessimo materia di mostrare a questi christiani la charità Christiana, perché gli agiutassimo quei che erano infermi con quanto potessimo; del che restorno assai edificati per essere in tempo che né gli intimi amici si avvicinavano molto a loro”.

 

P. Matteo Ricci ci è maestro, quindi, anche nella carità e nell’aver testimoniato con gli scritti e con la vita quello stile di amore e comunione fraterna di cui ci parla la seconda lettura: “Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio: chiunque ama è stato generato da Dio e conosce Dio” (1Gv 4, 7). Se Macerata vuole davvero essere la Città di P. Matteo Ricci non potrà non seguirne l’esempio anche su questa strada della solidarietà e della giustizia, dell’accoglienza dei più poveri, di una carità umile e operosa.

 

4. Da ultimo, ma in senso evangelico, e cioè in quanto aspetto primo e più rilevante, P. Matteo Ricci ci insegna il vero spirito missionario e ci invita a rinnovare la nostra fede. Nel suo slancio missionario si è speso senza riserve e senza risparmiarsi in nulla per questa grande impresa, spinto solo ed esclusivamente dal desiderio di annunciare il Vangelo di Gesù Cristo all’amato popolo cinese. Un missionario nel senso più forte e pregnante del termine. Non ha percorso con passione e competenza tutte le strade dello scibile umano: astronomia, matematica, geografia, filosofia, meccanica, arte… per relativizzare o mascherare l’annuncio evangelico ma per farlo risplendere nel suo profilo più alto; per condurre tutti all’incontro con Cristo, principio e fine di tutte le cose; per dimostrare come la fede cristiana sia veramente cattolica, cioè capace di ricondurre tutto all’unità facendoci gustare in ogni cosa ciò che è davvero bello, buono e vero.

 

Se non vogliamo tradire l’identità e la grandezza di P. Matteo Ricci, confinandolo in rappresentazioni parziali o riduttive, occorre riconoscerne in primo luogo la statura spirituale e il profilo di grande missionario e testimone della fede. “Ricci non si reca in Cina per portarvi la scienza e la cultura dell’Occidente - sottolineava ancora il Santo Padre nell’udienza del 29 maggio -, ma per portarvi il Vangelo, per far conoscere Dio”. Che questa sia la sua primaria e fondamentale preoccupazione lo esprime con parole toccanti nell’introduzione al suo libro Il vero significato del Signore del Cielo: “Per più di vent’anni ogni mattina e ogni sera ho pregato in lacrime verso il Cielo. So che il Signore del Cielo ha pietà delle creature viventi e le perdona (…) La verità sul Signore del Cielo è già nei cuori degli uomini. Ma gli esseri umani non la comprendono immediatamente e, inoltre, non sono inclini a riflettere su una simile questione”.

 

Le ultime parole consegnate sul letto di morte ai confratelli e ai fedeli presenti “Vi lascio su una soglia aperta a grandi meriti, ma non senza molti pericoli e tribolazioni” sono di grande attualità anche per i nostri giorni. Non è un caso se a Macerata è nato il Seminario diocesano missionario Redemptoris mater. È un segno profetico per tutta la Città e non solo per la comunità ecclesiale. Continua così idealmente l’opera di P. Matteo Ricci nella prospettiva di essere ancora oggi, anche grazie alle vocazioni di speciale consacrazione, strumento di dialogo e di incontro con il grande popolo cinese, offrendo quale dono più prezioso l’annuncio evangelico.

 

Ci auguriamo che questi quattro punti possano farci da bussola nel valorizzare il grande patrimonio spirituale e culturale lasciatoci da P. Matteo Ricci e speriamo che possa essere proclamata presto e pubblicamente quella santità di cui erano consapevoli e assolutamente convinti i suoi contemporanei. Possa valere anche per noi oggi quanto scriveva il letterato Li Jiubiao, nella postfazione alla prima biografia scritta in cinese dal P. Giulio Aleni nel 1630: “Nel mio cuore tengo il Maestro Ricci come un ideale, dispiacendomi di non essere stato suo contemporaneo. [Dopo aver letto questa biografia,] penso che ieri come oggi le persone di alto ideale che conservano le parole tramandate e le virtù degli antichi saggi, sebbene non abbiano potuto essere di persona loro discepoli, li ammirano anche dopo cento generazioni, e si fanno loro amici anche dopo mille autunni”. Come questo Letterato non siamo fisicamente contemporanei di P. Matteo Ricci ma possiamo e dobbiamo esserlo nella mente, nel cuore e nello spirito.

 

Cari maceratesi avere P. Matteo Ricci come concittadino è per noi tutti un onore e un privilegio, ma anche una grande responsabilità. Non avvenga che si debbano applicare a noi quelle parole del Siracide ascoltate nella prima lettura: “Guai ai cuori pavidi e alle mani indolenti” (Sir 2, 12). Speriamo pertanto che il suo ricordo oltre ad essere impresso nel nostro cuore possa essere ben visibile in questa Città che gli ha dato i natali e che lui, nelle sue lettere dalla Cina, ricordava con grande affetto. L’occasione del quarto centenario della morte ci offre una opportunità unica e irripetibile per dotare Macerata di opere artistiche e museali in grado di presentare a tutti, residenti e visitatori, anche per il futuro, una memoria viva di questo nobilissimo figlio della nostra terra.
Auguro di cuore a tutti i maceratesi una gioiosa festa per ringraziare il nostro Santo Patrono Giuliano della sua protezioni. Sul suo esempio e su quello del Servo di Dio P. Matteo Ricci, invito tutti a rimanere ben radicati nella vite che è Gesù Cristo, come ci ricorda il Vangelo di questa festività: “Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla” (Gv 15, 5).