Macerata, 22 novembre 2013 - OGGI GIAN MARCO avrebbe spento la sua prima candelina. Purtroppo non lo potrà fare perché, una settimana dopo la nascita, è stato stroncato da una coagulazione intravasale disseminata: una setticemia nel sangue, causata dall’echovirus, ha provocato il collasso di tutti gli organi, e non gli ha lasciato scampo. A raccontare questa storia sono i genitori di Gian Marco, Roberto Carletti e Isabella Rapaccini, una coppia di treiesi, proprietari di una pasticceria: «In questo anno ci siamo fatti tante domande, ora vorremmo qualche risposta». Per questo hanno presentato nei mesi scorsi un esposto in procura, chiedendo di fare luce su quanto accaduto.

Dopo aver avuto una bambina, nel 2012 Isabella scopre di essere di nuovo incinta. Al termine di una gravidanza senza complicazioni, il 22 novembre la donna si presenta in ospedale a Macerata e viene sottoposta al taglio cesareo, perché il bimbo è podalico. L’intervento riesce perfettamente, e Gian Marco nasce bello e sano. Dopo quattro giorni, al momento delle dimissioni, i medici decidono di trattenere il piccolo, per trattare un principio di ittero.

«Quelle sono state 24 ore fatali — racconta la mamma —. La sera del 26 mi accorgo che Gian Marco non sta bene: respira male, emette una specie di gemito. Per tre volte sono andata al nido, dicendo che il bambino stava male, senza però ottenere nulla. Alle 6 di mattina del 27, di fronte alle mie insistenze, finalmente gli misurano la febbre: aveva più di 38. Allora viene chiamata prima un’infermiera, e poi finalmente un pediatra. A me chiedono come sto, ma io non avevo nulla; piuttosto, c’era un’altra mamma in camera con me che stava male. Ho chiesto più volte una stanza a pagamento, ma non mi è stata mai data. E c’erano anche altre camere libere. Comunque, all’inizio la situazione viene minimizzata, quando ho chiesto di allontanarmi un minuto per telefonare a mio marito e farlo venire in ospedale, mi hanno detto che era inutile, che non dovevo preoccuparmi. Poche ore dopo, lo hanno sottoposto a una trasfusione d’urgenza».

La situazione diventa critica, e viene allertato il Salesi, che manda un’equipe con l’automedica, perché è impossibile trasportare il neonato in eliambulanza. Al Salesi i medici fanno tutto il necessario: lo mettono in terapia intensiva, lo sottopongono a una cura antibiotica ad ampio spettro, fanno analisi genetiche e metaboliche, controllano la mamma per vedere se possa avergli trasmesso qualcosa. Ma tutte le prove, dalla meningite in giù, sono negative, le cure non ottengono alcun risultato e il bambino muore il 26 novembre. «Gli avevano attaccato la flebo al piede — racconta il padre —. Ma con le vene così piccole non andava bene, e così hanno dovuto forare il torace: era straziante. Noi potevamo vederlo pochissimo. Quei giorni non ce li scordiamo più».

AL SALESI dopo la morte del neonato fanno altri esami. «Alla fine di gennaio ci dicono che Gian Marco aveva nel sangue l’echovirus, e nelle feci la Klebsiella pneumoniae». Quest’ultimo è un batterio definito «infezione nosocomiale» dall’enciclopedia on line Wikipedia. L’infezione è stata fatale al bimbo, che appena nato non aveva anticorpi per difendersi.

«POCHE settimane dopo aver saputo questa cosa — racconta Isabella Rapaccini — abbiamo letto sul Carlino alcune dichiarazioni del ginecologo Farotti: “Tutti vogliono un bambino bello, sano, biondo e con gli azzurri, e se non è così deve essere colpa di qualcuno”. Per me è stata un’altra coltellata, perché mio figlio era bello e sano quando è nato, e se poi è morto è perché ha preso un virus in ospedale, visto che da lì non siamo mai usciti. Del resto, di recente anche il Papa, rivolgendosi ai ginecologi, ha parlato di “cultura dello scarto”».

«In un anno — spiega l’avvocato Paolo Carnevali, che assiste la coppia — questa famiglia non ha avuto alcuna spiegazione in merito a quanto accaduto: nessuno li ha chiamati, non si sa se sia stata fatta un’autopsia, un’indagine interna, nulla. Per questo ora ci rivolgiamo alla procura, sperando di poter chiarire cosa sia successo a quel bambino, nato sanissimo, e morto per un’infezione senza mai essere uscito dall’ospedale».

Paola Pagnanelli