Macerata, 9 marzo 2014 - AL CENTRO di questa storia c’è una bimba, nata a Pesaro il 22 dicembre 2011. Per lei, babbo e mamma sono una coppia del Maceratese con cui vive da quando è nata. Ma ha anche una mamma naturale che la rivuole: un’ex suora, che rimase incinta dopo uno stupro subito alla Pontificia Università Urbaniana di Roma. In un primo momento la religiosa aveva deciso di darla in adozione. Poi però, saputo che non poteva tornare in convento, 73 giorni dopo il parto ha rivendicato sua figlia. Dopo una serie di sentenze e ricorsi della procura, a febbraio la Cassazione ha dichiarato che l’opzione materna per l’anonimato non è un consenso all’adozione. La bimba ha iniziato a vedere la mamma naturale, a cui sarà affidata a breve.

Il papà affidatario: «Dolore infinito». L'intervista

«NOI VOGLIAMO solo che questa bambina cresca sicura e forte, e che non possa mai pensare che l’abbiamo abbandonata». Fino a oggi, non ha mai voluto parlare la coppia del Maceratese che, da due anni, si occupa di una bambina speciale. «Ora però sembra che le numerose anomalie di questo iter giudiziario stiano venendo alla luce — spiegano con gli avvocati Laura Musso e Alessandra Perticarà —. Allora anche noi vogliamo dare un contributo per fare chiarezza, e mettere nelle condizioni di poter operare al meglio chi ora ha il compito di tutelare i diritti della bambina».

Da quanto tempo la piccola è con voi?
«Da quando aveva 22 giorni. Ora ha 2 anni e 2 mesi».

Sapevate che il vostro, tecnicamente, era un affido a rischio giuridico?
«Qui ci vuole una spiegazione. Noi siamo stati chiamati ad Ancona durante le feste di Natale per un colloquio di aggiornamento pratiche. Abbiamo spiegato che ci eravamo mossi con un ente per l’adozione internazionale, e che stavamo per partire, per conoscere il bimbo che ci era stato assegnato: tutti i documenti erano stati consegnati e approvati. In tribunale ci hanno fatto moltissime domande, ma noi siamo stati chiari: non ci sentivamo pronti per l’affido, non avevamo scelto le adozioni nazionali proprio per evitare il rischio giuridico. Per nostra precisa scelta eravamo nella lista delle adozioni, non in quella degli affidi. Dopo qualche giorno ci hanno richiamato: eravamo stati scelti, tra oltre venti coppie, per accogliere una bimba appena nata. Ci hanno detto di stare tranquilli, e se entro 40 giorni non sentivamo nessuno non ci sarebbe stato alcun rischio. Abbiamo dovuto decidere in dieci minuti, sapendo che c’era una neonata che era sola. Una volta a casa con lei, abbiamo spuntato questi 40 giorni sul calendario, e quando sono trascorsi abbiamo tirato un sospiro di sollievo. E ci siamo sentiti genitori, anche se in realtà a noi era bastato il suo primo sguardo, quando siamo andati in ospedale».

Avreste accettato di prenderla, sapendo che la mamma avrebbe potuto rivendicarla?
«Conoscendo il nostro carattere, avendo fatto un lungo lavoro con psicologi e assistenti sociali, no. Tra l’altro, non volevamo coinvolgere anche i nostri familiari in un procedimento complicato e doloroso».

Avete saputo la particolarissima storia di questa bimba quasi un anno dopo. Cosa è cambiato da quel momento?
«Abbiamo cercato di metterci nei panni di questa donna, di capire, di distaccarci un po’ dalla bambina; mentre per le prime due stiamo ancora lavorando, per quanto riguarda il distacco è stato impossibile. Chiunque abbia figli sa che ti coinvolgono anima e corpo, e comunque la piccola meritava e merita tutto l’amore incondizionato che possiamo offrirle, qualunque sia il nostro ruolo».

Ora, dopo la sentenza della Cassazione, cosa sta succedendo?
«La Cassazione ha stabilito solo che la madre ha diritto al ripensamento e quindi al riconoscimento, ma nessuna pronuncia sul merito della vicenda emerge dalla sentenza. Comunque ora, dopo che ha trascorso due anni e due mesi in una famiglia con tanti affetti, nonni, zii, cuginette, amici, con abitudini e certezze, è stato disposto che torni con la madre, e in breve tempo».

Vi siete opposti agli incontri con la mamma naturale?
«Abbiamo sempre rispettato quanto disposto dal tribunale, pur non condividendone l’operato. Per il bene della piccola, la stiamo accompagnando in questo difficile percorso di riavvicinamento perché solo noi, che fino ad oggi l’abbiamo cresciuta, siamo in grado di capire i disagi che sta vivendo, e di interpretare i suoi messaggi».

Quali sensazioni vi suscita la prospettiva di un distacco?
«Abbiamo un grande dolore, una sensazione di incredulità e di impotenza soprattutto nel vedere come non si stia cercando di evitare lo strappo. Per il bene della piccola, basterebbe la collaborazione da parte di tutti».

Cosa sognate per lei?
«Che continui ad essere una bambina allegra, sorridente e spensierata, che sia un’adolescente tranquilla con la certezza degli affetti, che sia una ragazza determinata, forte e sicura e che diventi una mamma realizzata e felice. Soprattutto, non dovrà mai pensare che noi l’abbiamo abbandonata».

Paola Pagnanelli