Tolentino (Macerata), 24 aprile 2014 - UN NOBILE filantropo aveva lasciato tutti i suoi averi alla cura degli animali abbandonati, e in particolare dei cani, e al sostegno degli studenti universitari delle Marche. Ma dopo un’aspra battaglia giudiziaria, durata sedici anni, sarà una cugina a divenire l’erede unica di questa fortuna, stimata all’epoca in 16 miliardi di lire, e oggi in sette milioni di euro. Lo ha deciso la Corte d’appello di Ancona, pronunciandosi in merito al patrimonio del defunto Gianfranco Tassoni, conte e avvocato di Tolentino, in provincia di Macerata.

Il nobiluomo era proprietario di palazzi, appartamenti, case rurali e terreni, tra Tolentino e San Severino, ma anche in Umbria. Solitario, senza figli, era molto amante degli animali: a loro e ai giovani più meritevoli nello studio, attraverso una fondazione da costituire ad hoc, aveva deciso di lasciare tutti i suoi averi, come documentato da un testamento olografo redatto nel 1994.
Alla sua morte, avvenuta all’ospedale di Ancona il 23 maggio del 1998, quando aveva a 68 anni, si costituì subito una fondazione, chiamata Severino Servanzi Collio, con la Lega nazionale per la difesa del cane, inizialmente presieduta da Vittorio Sgarbi, allo scopo proprio di adempiere alle volontà testamentarie del conte. La fondazione fu la prima ad accettare la chiamata ereditaria, ma il patrimonio le venne subito conteso. In primo luogo da due istituzioni simili, la Fondazione per la difesa degli animali abbandonati di Macerata e la Fondazione comunale di Tolentino chiamata «Tassoni-Porcelli», e poi da una cugina, Ilda Manetta, di Teramo, moglie di un magistrato e figlia della sorella del padre del conte.

IN PRIMO grado, nel febbraio del 2008, il tribunale di Macerata diede ragione proprio alla parente, assistita dagli avvocati Bruno Mandrelli di Macerata, Pietro Referza e Carmine Miele di Teramo, riconoscendola erede universale del patrimonio del de cuius: secondo i giudici, le fondazioni si erano prefisse nei loro statuti compiti ulteriori rispetto a quanto indicato nelle volontà testamentarie del conte. Contro questa sentenza hanno fatto appello le fondazioni, i cui ricorsi però sono stati ora respinti anche dai giudici del secondo grado, ad Ancona. La corte, nella sentenza emessa nei giorni scorsi, ha ribadito il diritto della cugina, e unica parente, a ricevere tutti i beni del filantropo tolentinate.

SU QUESTI beni le fondazioni avevano ottenuto, due anni fa, un sequestro conservativo. Dato che Ilda Manetta, dopo la sentenza di primo grado, aveva avuto la disponibilità del patrimonio e aveva iniziato a gestirlo (risultavano prelievi in banca, cessioni di fabbricati e terreni, accordi sugli espropri di alcune aree), le fondazioni temevano che tutto venisse disperso prima della fine del giudizio civile. Ora, con la sentenza, la Corte d’appello ha revocato anche questa misura, restituendo alla ottantenne teramana anche la gestione concreta dell’intero patrimonio del cugino defunto.

A questo punto, in teoria resta ancora la carta del ricorso in Cassazione, cui potrebbero rivolgersi le fondazioni escluse dall’eredità. Ma il fatto che, nel merito, siano state già pronunciate due sentenze concordi, potrebbe far pensare a una conclusione coerente anche davanti alla Corte di Roma.
Per altro, sulle volontà del nobile filantropo è stato celebrato anche un processo penale a carico di tre persone che, mentre lui era in fin di vita all’ospedale, gli avrebbero fatto firmare un documento relativo alla gestione del patrimonio, ma gli imputati sono stati tutti assolti.

Paola Pagnanelli