Macerata, 5 giugno 2014 - «ALCUNI giorni fa quando, mi ha contattato la nunziatura per comunicarmi la nomina a vescovo della diocesi di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-Treia, non ho potuto rispondere alla prima telefonata: ero a togliere i panni dalla lavatrice e mi apprestavo a stenderli. Sa, siamo tre preti qui nella parrocchia (di San Donato in Trestina a Città di Castello di cui è co-parroco dal settembre 2013, ndr.) e ci aiutiamo. Quel giorno era il mio turno». Così esordisce don Nazzareno Marconi, il nuovo vescovo di Macerata che verrà ufficialmente nominato nella cattedrale di Città di Castello il 13 luglio e che si insedierà nella cattedrale di San Giuliano il 27 luglio.

Racconti qualcosa della sua vita privata…
«La mia vita privata? Dico solo una cosa, non fatemi diventare una macchietta. Ho le mie passioni e i miei hobby ma preferisco non raccontare queste stupidaggini. Mi conoscerete. Sono un prete di campagna che diventa vescovo, direi che ora possiamo parlare di questo. Sono una persona molto semplice ed essenziale. Una persona che chiacchiera ma che, soprattutto, ama ascoltare. Voglio venire ad ascoltare il popolo di Macerata. Ho una convinzione: nella Chiesa il Signore traccia la strada e i singoli si inseriscono in questo cammino. Voglio che la gente tutta, consacrata e non, mi racconti la sua fede in modo che io, poi, mi possa inserire».

Quando verrà a Macerata?
«Dal punto di vista della normativa canonica non è bene che un vescovo arrivi nella diocesi in modo semiufficiale prima che avvenga la nomina ufficiale, e questo mi sembra saggio. Che invece io capiti a Macerata per motivi squisitamente privati mi sembra sano e normale».

Si aspettava questa nomina?
«Quando ho iniziato a leggere sui giornali il mio nome fra i possibili nominati; quando tutti ne parlavano ho iniziato a pensare a qualche possibilità. Poi quando anche dall’interno della Chiesa il mio nome veniva fatto in modo insistente, allora avevo iniziato a crederci. Però dal pensarlo a che avvenisse, ne corre».

Conosce bene Claudio Giuliodori?
«Certamente. Ci vogliamo bene. Oltre a essere nati e essere stati ordinati presbiteri negli stessi anni, siamo anche stati a Roma negli spessi periodi».

Chi vi conosce un po’ dice che siete persone molto differenti.
«Non mi piace fare i confronti. Posso solo dire che chi ci conosce veramente bene dice il giusto e cioè che siamo molto in sintonia e che abbiamo le stesse profonde convinzioni. Non vorrei essere offensivo con questo paragone esagerato, ma a chi, ad esempio, dice che Papa Francesco è totalmente differente dal suo predecessore io replico di leggere cosa questi due papi scrivano, dicano e abbiano detto. Si accorgeranno che la loro percezione non è corretta. E che uno prosegue il cammino dell’altro. Monsignor Claudio e io saremo differenti nelle modalità, ma uguali nei contenuti».

Cosa le dispiace di più lasciare?
«Sono, ero uno dei docenti storici di Sacra Scrittura all’Istituto teologico di Assisi. Sono appena uscito dalla sessione di esami e devo esaminare ancora moltissimi ragazzi. Sto chiudendo con il mio lavoro di insegnante, cosa che faccio da 26 anni. Lascio questa attività con tanto rammarico».

Cosa porterà a Macerata?
«Arriverò con la bibbia sottobraccio e aiuterò a capire che la bibbia parla a ciascuno di noi».

Paola Olmi