Terremoto, viaggio nel cuore di Camerino

Il racconto dalla ‘zona rossa’ degli inviati del ministero: "Qui abbiamo visto commozione, orgoglio e speranza"

Terremoto a Camerino (foto Calavita)

Terremoto a Camerino (foto Calavita)

Macerata, 23 marzo 2017 - Quello che pubblichiamo è il resoconto di una ispezione compiuta nella zona rossa, chiusa e recintata, del centro medievale di Camerino compiuta dalla storica dell’arte Beatrice Buscaroli, componente del Consiglio superiore dei Beni Culturali e Turismo, nominata dal ministro Dario Franceschini nel 2014. Il Consiglio dei Beni culturali ha voluto che la speciale seduta sui danni subiti dal patrimonio culturale nei terremoti del 2016 venisse ospitata a Matelica, che confina con Camerino, in due giorni di visite e convegni. 

Non è facile vedere un uomo della Protezione civile che ti accompagna nel ventre chiuso della città di Camerino, commuoversi, e dire «non tornerà mai più com’era». Né è facile vedere la ‘zona rossa’ della città di Camerino, sorvegliata dall’esercito, completamente abbandonata, recinta, reclusa, ricostruita tante volte dai terremoti che si susseguirono fin dal Trecento, come fosse una città morta. Non lo è. Camerino è una città che ospita 7.500 studenti su 7mila abitanti. Erano una cosa sola, e le strade che noi oggi vediamo silenti come una città descritta da D’Annunzio, formavano un corpo unico, come nei secoli antichi, da quanto l’Università nacque, 1336. Già i loro signori, i Da Varano, dovettero ricostruire la città dopo un terremoto e si concentrarono sulla produzione di seta, vino e carta, accordandosi con Venezia. Ora, e dopo i quattro terremoti degli ultimi mesi, 18mila scosse in un giorno (26 ottobre 2016), i cittadini di Camerino cercano di riprendere la loro vita, non che sia semplice.   La speciale seduta che il Consiglio superiore dei Beni culturali ha voluto fosse ospitata a Matelica, città che confina con Camerino e le sue rovine, è un segno di straordinaria importanza che, in due giorni di visite e convegni, vuole dimostrare agli italiani e agli abitanti di queste zone, quanto il Ministero stesso, rappresentato dal più alto organo che rappresenta il ministro, attraverso il presidente Giuliano Volpe, sia loro vicino. I numeri sono impietosi, e lasciano senza fiato.    La protezione civile, i vigili del fuoco, le unità di crisi del Ministero, il Nucleo della Tutela del patrimonio culturale dei Carabinieri hanno lavorato in modo esemplare in questi mesi, che loro stessi definiscono, «tempo di pace», perché non gli uomini, né le disfunzioni dello Stato, ma la terra stessa ha continuato a disfare quello che loro cercavano di recuperare. Dal primo terremoto, 5mila sono stati i rilievi sui beni culturali danneggiati, poi fatti e rifatti, ad ogni scossa.    Quattordicimila sono i beni recuperati da chiese, cripte, musei, santuari, ora dislocati in vari depositi che la popolazione, come sottolinea il sindaco di una città colpita, desidera rimangano legati alla popolazione che li ha generati e custoditi, senza che vaghino per mostre temporanee. La sola zona marchigiana, centro del primo sisma, ospita 3mila chiese, e se per fortuna il numero delle vittime è piuttosto ridotto, rispetto alla forza del terremoto, lo stato degli edifici è disperante.  Per questo si è voluto dimostrare, e per la prima volta, che queste cose e i loro proprietari, chiese, privati, comunità, non sono stati abbandonati.   Il sindaco di Matelica, Alessandro Delpriori, è uno storico dell’arte coltissimo, e quanto mai presente sul suo territorio. Ci mostra sfaceli che nessuno potrebbe immaginare, oppure solo chi ha visto la guerra. Invece ha quarant’anni e riesce a trovare interessante il fatto che il fonte battesimale della sua Chiesa di San Francesco, battendo a lungo sull’intonaco settecentesco, abbia rivelato, forse, un’antica origine duecentesca dell’edificio. «Sapete che se dietro questo muro si trova un ciclo francescano, questo sarebbe il primo tempio con immagini dedicate alle gesta di San Francesco?». L’ottimismo si alterna alla commozione, due nastri di battesimo azzurri svolazzano dai portoni abbandonati di Camerino, qualcuno ha scritto sulla vetrina del suo negozio ‘Grazie Sant’Elpidio’, il protettore dei terremoti.   Ma alla sera, nel teatro di Matelica, «l’unica cosa che ci rimane», come rimarca il sindaco Delpriori, è riunita l’Italia di chi, da secoli, è capace di andare avanti. E se le statue del suo museo, Palazzo Piersanti, custodite da giovani storiche dell’arte che dovranno entrare nella storia, sono bronzi che sembrano vittime del terremoto, ma sono soltanto figure chinate, allora vien fuori l’idea che questa speranza, questo orgoglio dei vigili del fuoco che hanno «messo in sicurezza» il campanile del Duomo di Camerino fino a ripristinare l’orologio della torre, allora vien fuori l’idea che questa volta ce la si possa fare. Con lo Stato che, elmetto in testa, si commuove e spera con loro.